Patti Smith a Roma, 10 0ttobre 2021

La “Nuvola”, l’immensa struttura d’acciaio e vetro progettata dall’architetto Fuksas ha ospitato per lunghi mesi l’hub vaccinale più grande d’Italia. Oggi può finalmente riscoprire la sua natura di solida e trasparente vitalità. Ed è alquanto emblematico che il primo evento pubblico dopo il periodo più devastante della pandemia sia stato l’incessante folata d’energia positiva che il concerto di Patti Smith saputo offrire senza un attimo di cedimento.

@Ida Tiberio

Il pubblico sembra avere un’esigenza spietata di bellezza e armonia e quando Patti Smith sale sul palco, con la lunga chioma grigia e la scarna essenzialità della sua figura, si accende un immaginario caleidoscopio di colori vivissimi e gioiosi. Patti intona Grateful, mette a punto un paio di dettagli tecnici e il concerto s’incammina verso un mirabile crescendo di intensità. Accompagnata dal bassista Toni Shanahan e dai figli Jackson (alla chitarra) e Jesse (al piano), Patti Smith domina il palco col carisma e l’autorevolezza di sempre. I giovani Smith fanno onore alle doppie radici musicali di famiglia (anche il padre, il compianto Fred “Sonic” Smith, leader degli MC5, ha avuto un ruolo importante nella storia del rock) e accompagnano il percorso sonoro della madre con impeccabile efficacia.

Patti Smith dal vivo: un repertorio “classico” ma sempre emozionante

Il concerto si anima di inquieta spiritualità con Ghost Dance, attraversa i labirinti della memoria e della sofferenza più intima e lancinante con Frederick, Dancing Barefoot e Beneath the Southern Cross e quelli dell’irriverenza sfrontata con Pissing in a River. La presenza scenica di Patti si fa di minuto in minuto più ammaliante, la sua voce è un crescendo di solida e avvincente emotività.  Con leggerezza e sensibilità vengono affrontate tematiche importanti come la tutela ambientale, il disarmo, l’egoismo di una società che sembra incapace di empatia. L’artista di Chicago, ma profondamente newyorkese in quanto a storia artistica e personale, omaggia Bob Dylan con una bella cover di One Too Many Mornings e prosegue il suo tragitto sonoro fino all’apoteosi finale.

Il gran finale del concerto di Roma

La platea, piuttosto attempata a onor del vero, cerca di contenere l’entusiasmo per quasi due ore. Ma alle prime note di Gloria il  meccanismo liberatorio scatta inesorabile. Tutti in piedi a onorare la versione “rivisitata” del classico dei Them. “Jesus died for somebody’s sins but not mine”, canta Patti con spregiudicata consapevolezza, prima di intonare il celebre refrain: G-L-O-R-I-A. Infine, People Have The Power: intensa, potente, lucida e terribilmente attuale. L’esibizione romana di Patti Smith è stata una gigantesca lectio magistralis di rock’n’roll, empatia e profonda umanità di cui si conserverà a lungo la memoria.

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Nata a Genova in tempi remoti. Speaker radiofonica presso varie emittenti locali, ha condotto il programma Raisteronotte. Ha scritto per alcune riviste specializzate, tra le quali il Mucchio Selvaggio

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