D’angelo And The Vanguard sbarcano a Parigi per il Second Coming Tour.
Breve tour europeo (nel Second Coming Tour) per D’angelo And The Vanguard dopo l’acclamatissimo ritorno con Black Messiah. A Parigi la sede scelta è il Palais de Congrès, uno fra i teatri più freddi che la scena della capitale possa offrire, ma capiente (e quasi completo, nonostante prezzi astronomici) con i suoi 3700 posti a sedere. E già questo pone un problema, perché è difficile pensare a un concerto del genere con il pubblico in poltrona. Altro dubbio, più serio, riguarda la band e il nuovo disco: realizzato in modo sublime in studio e proprio per questo forse non facile da rendere live.
Il pubblico è già quasi tutto in sala poco dopo le otto e si attende con Joey Badass in sottofondo. Solo verso le nove le luci si spengono e nel buio si sente l’inizio di Prayer; sul palco si può solo intravedere D’Angelo, raggiunto gradualmente dai Vanguard: ma le luci non si accendono fino alla successiva 1000 Deaths, potentissima. Alle prime note di Ain’t That Easy D’Angelo esclama “Paris won’t you move your feet?!” ed è il segnale necessario; tutti sono in piedi, molti si avvicinano al palco e l’atmosfera si riscalda.
Il nuovo D’Angelo
Scherza in Back To The Future Part I: ” So if you’re wondering about the shape I’m in / I hope it ain’t my abdomen that you’re referring to” (versi che più tardi saranno cantati col sorriso sulle labbra). E in effetti D’Angelo è molto cambiato dal ragazzo sulla copertina di Voodoo; i quindici anni passati, alcuni dei quali non troppo serenamente, pesano sulla sua condizione fisica, ma non sulla voce e sulla capacità di fare spettacolo. Uno spettacolo, va detto, molto “americano”, tanto da far tornare in mente James Brown; non per le scenografie, piuttosto sobrie, ma per la musica: la coda dei brani spesso si allunga, le jam servono a improvvisare e a far partecipare il pubblico.
Una grande band accompagna D’Angelo
Tutte cose che ci si può permettere se si hanno nella band musicisti del calibro di Jesse Johnson, che ricordiamo con Prince, e di Pino Palladino, che ricordiamo praticamente con chiunque. Ma anche gli altri non scherzano; la seconda chitarra di Isaiah Sharkey, per esempio, sostiene ammirevolmente Really Love, una delle canzoni che alla vigilia potevano sembrare fra le più complicate da riproporre live, e che invece è un successo pieno.
Altro momento importante The Charade, con D’Angelo incappucciato a interpetare il testo più esplicitamente politico. Il pubblico, però, applaude molto anche le vecchie canzoni, come Feel Like Makin’ Love, Brown Sugar e One Mo’ Gin, anche se a chi scrive Black Messiah pare un disco decisamente superiore rispetto ai pur ottimi precedenti; ma il D’Angelo più R’n’B è indiscutibilmente restato nel cuore dei molti che, a ragione, guardano alla forza soul sprigionata e non all’apparenza: il messaggio di Back To The Future, insomma, è pienamente recepito dai fan vecchi e nuovi. Sugah Daddy conclude la prima parte, in un medley lunghissimo che include Sir Nose D’Voidoffunk (Parliament) e You Can Have Watergate Just Gimme Some Bucks And I’ll Be Straight (The J.B.’s): siamo ormai in pieno trip funky e ancora una volta la band è non solo professionale, ma anche divertita.
Dopo la già ricordata Back To The Future e Chicken Grease il concerto si conclude, come immaginabile, con Untitled; alle prime note sembra che il teatro debba venir giù per gli applausi: D’Angelo sente il calore e ne offre un’interpretazione magistrale, lunghissima e molto emotiva, che resterà a lungo in mente dopo la conclusione dello show. Verso la fine si siede alle tastiere e, a partire dal batterista per finire con Palladino, i musicisti lasciano il palco mentre le luci si abbassano gradualmente e lui resta solo, in penombra, come aveva cominciato, a sussurrare: “How does it feel? It feels good”.