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di Fancesca Bassani

C’era una trasferta musicale da organizzare, un’idea carina da farsi venire per festeggiare un’amica e coinvolgerne altre cinque. Ho iniziato a scartabellare un po’ in giro e, cercando di evitare di tornare dove sono già stata negli anni scorsi, la scelta è caduta sul Frequency, a Sankt Pölten in Austria, festival sul quale avevo messo gli occhi già da qualche anno.
Novecento km circa da macinare, una futura sposa all’oscuro di tutto, due macchine di amiche esaltate in viaggio verso l’ignoto. Partiamo munite di tenda e dell’occorrente per il campeggio, pronte a diventare parte del Festival in tutto e per tutto.
Arriviamo sul posto e, dopo un po’ di attese – fra ritiro braccialetti e consegna dei sacchi della spazzatura (che forse poi siamo state le uniche ad usare, a parte i ragazzi che passavano a ripulire ogni tot ore) – entriamo nel grandissimo parco che ospita l’area camping. Rimango di sasso: è tutto pieno (e ancora non è iniziato il primo concerto) e già straripa di immondizia in ogni dove. Mi chiedo come sia possibile. Prese dallo sconforto e da una certa tristezza, iniziamo a vagare di qua e di là dal fiume in cerca di uno spazio dove mettere le nostre tre tende. Zero. Ci “infraschiamo” allora sotto ad un boschetto, dapprima scartato a pie’ pari, ma che poi si è rivelato un’oasi di pace.

httpv://www.youtube.com/watch?v=pn1hFQ4yIcA

Inauguriamo la kermesse sonora con il live set dei Bad Religion: 36 anni di carriera alle spalle, forma splendida, energia di sempre. Non poteva esserci benvenuto migliore. Dopo un “breve saluto” a Francesca Belmonte che si esibisce nel palco indoor, corro da José González, l’artista che più degli altri attendo con ansia e che, soprattutto, non ho mai visto dal vivo. Sale sul palco ed esegue un paio di brani da solo. Lo raggiunge la band e il concerto scorre via strappandomi persino qualche sbadiglio per una certa monotonia che a lungo pare predominare. Ma quando in chiusura José infila una dietro l’altra Killing For Love, Teardrop, Down The Line e infine Heartbeats, mi riprendo dal torpore e mi emoziono non poco. Questo mi dà la spinta per andare a vedere gli alt-J. Non ho grandi aspettative, anche se amici fidati mi hanno parlato di grandiose esibizioni live. Comunque, il concerto inizia, e con lui il mio stupore, che cresce col susseguirsi dei brani.Una forza espressiva, un calore e una delicatezza rari, uniti a bellissimi effetti visivi, rendono quella degli alt-J la migliore esibizione, secondo me, dell’intero festival. Il pubblico è totalmente coinvolto, non vola una mosca, tanto riescono a coinvolgerti e rapirti dalla prima all’ultima nota di ogni singola canzone.
Dopo di loro, ancora scossa dall’intensità del momento, mi siedo in una delle tante aree relax con amache e tavolini sparse per tutta l’area festival. Chi si esibisce prima dei Chemical Brothers, Major Lazer, non si capisce bene cosa ci azzecchi in quel contesto. Pare di stare a una sorta di dancehall di quelle brutte e tamarre che si trovano di rado, ma così di rado, che si stenta a credere che possa verificarsi un evento del genere sul palco principale, prima dei Chemical. Eppure è così. Quando per fortuna lo strazio finisce e salgono sul palco Ed Simons e Tom Rowlands il pubblico, come sempre, s’infiamma. Fra visual e musica si viene trasportati in un mondo parallelo. Brani vecchi e nuovi mescolati con sapiente maestria in una climax di emozioni e suoni che sembrano elevarti a metri e metri da terra. I Chemical Brothers restano dei fuoriclasse nel loro genere.

httpv://www.youtube.com/watch?v=OwerOE_9e6M

Chemical Brothers – Go

L’indomani me la prendo con più calma e mi avvicino ai palchi sul tardi, per dare una sbirciata a Nero e Offspring. Degli uni mi stanco subito, degli altri… Beh, sono uno di quei gruppi che sebbene appartengano alla tua adolescenza non ti ha segnato come altri. Quindi fra un brindisi e l’altro alla futura sposa, ti avvicini lentamente allo Space Stage in attesa del nome clou della serata, uno di quei gruppi che ti ha fatto ballare come una forsennata (insieme ai Chemical, per amor del vero) quando avevi diciotto anni e poco più. Salgono sul palco i Prodigy al completo e inizia un girone infernale di salti e danze sfrenate. Un ritorno alla metà degli anni ’90 in tutto e per tutto: felicità, energia, “presobenismo”. Breathe, Firestarter, Smack My Bitch Up da The Fat of The Land, e poi Voodoo People, Poison e una serie di brani più recenti che, devo ammettere, non conosco bene, dato che negli ultimi anni ho smesso di seguirli. Tanto di cappello comunque, perché i ragazzi si comportano ancora molto bene sul palco e la forza che sprigionano è assolutamente dirompente e positiva.

httpv://www.youtube.com/watch?v=VP8nrn8LR1Q

Prodigy – Voodoo People

Prima di tornare alle tende facciamo un salto allo UAF Stage, dove si tengono i dj set notturni, ma la cosa non ci convince né coinvolge, quindi dopo un’oretta torniamo al campo base, anche perché il giorno dopo c’è una gitarella nella vicina Vienna da fare!
Ultima serata del festival. Mi perdo i Gengahr, perché Vienna è bella e val bene una giornata, ma voglio assolutamente tornare per i TV On The Radio. Partono con un po’ di ritardo (strano per macchine organizzative di queste dimensioni). Dev’esserci un qualche problema e infatti per tutto il live si avverte qualcosa che non va a livello audio. Loro però suonano alla grande. Sono bravissimi, all’altezza delle aspettative. Musicisti veramente eccellenti che sanno creare un’atmosfera unica, con i loro brani sempre originali, uno diverso dall’altro per mood e genere. Grandiosi.
Non posso dire lo stesso, ahimè, per i miei amati Interpol. Li ho visti molte volte ormai e, se pure impeccabili a livello musicale (anche con i “nuovi” membri), la voce di Paul Banks dal vivo non convince e anzi, a me fa venire l’orticaria. Non esagero. Sono una grande amante della loro musica (dei loro primi due album in particolare. Anzi penso proprio che il primo sia uno di quelli che porterei nella famigerata isola deserta). Tutto bene finché si tratta di brani “mono-tono”, ma quando c’è da scendere più in basso o salire di una o due ottave, si perde totalmente il piacere di ascoltarlo. A me dispiace molto, ma è uno di quei casi in cui è meglio ascoltarsi un bel Turn On The Bright Lights su cd, piuttosto che soffrire dal vivo nel realizzare che quella eccitante voce calda non regge il confronto col supporto digitale.
Ci incamminiamo verso la nostra oasi conviviale nel campeggio, tanto i Linkin Park non interessano a nessuna. Ce li ascoltiamo in lontananza. Dev’esserci il pienone in quel momento, anche perché l’età media dei partecipanti al festival è davvero molto bassa e nei vari iPod in giro per le tende da tre giorni non si sentiva altro.
La mattina ci alziamo. Doccia, colazione, smontaggio. Mentre due di noi vanno a prendere le auto al parcheggio, assistiamo a un viavai di Audi, Mercedes, Bmw che fanno la spola per caricare i bagagli – ordinatissimi, precisissimi – tutte guidati da genitori che vengono a riprendere i figli o da giovanissimi sbarbini che fino a tre ore prima si aggiravano “mostrificati” per il recinto. Eh sì, perché l’impressione è proprio quella che al di qua del recinto tu possa lasciarti andare, sfogarti, buttare qualunque cosa per terra e pisciare dove capita. Aldilà invece, c’è la vita quotidiana, quindi mi raccomando, tutti a modino e precisini.

 httpv://www.youtube.com/watch?v=8chipo-Mt-U

FM4 Frequency 2015 – Aftermovie

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