Kurt Vile Pitchfork 1

Kurt Vile Pitchfork 1

 

di Mariangela Macocco

Appuntamento da qualche anno immancabile nella programmazione dell’autunno musicale parigino, il Pitchfork Music Festival  non ha tradito le aspettative nemmeno in questa edizione targata 2015. Molto felice la scelta del luogo e perfetta l’organizzazione dell’evento: sicuramente, assieme al palinsesto davvero d’avanguardia, anche la logistica ha grande peso nel meritato successo di questa kermesse musicale, capace di attrarre un folto pubblico, locale e non, anche in un periodo dell’anno certo non fra i più felici per il freddo pungente.

Come di consueto caratterizzato da una lineup capace di mescolare musica elettronica, alternative rock, musica psichedelica e rap, il Festival ha subito sfoderato alcuni assi vincenti già a partire dalla prima giornata. Sui due palchi della Grande Halle de la Villette sui quali di volta in volta si alternano gli artisti, già giovedi 29 hanno fatto la loro comparsa musicisti quali Destroyer, reduce dalla pubblicazione di un nuovo album, bellissimo e sperimentale, Ariel Pink, Godspeed You! Black Emperor, ma soprattutto Deerhunter, anche loro freschi della pubblicazione di un nuovo lavoro, che hanno regalato ai fortunati presenti (e a quanti hanno assistito al concerto in streaming su Culturebox) un’esibizione straordinaria. Purtroppo sono riuscita a essere presente solo venerdì 30 ottobre: questo è dunque il mio racconto della seconda serata. Sono arrivata alla Villette verso le 18.30, giusto in tempo per assistere senza problemi all’esibizione degli HEALTH.

 Health Pitchfork

Band californiana che avevo già avuto modo di vedere in gennaio in apertura del concerto degli Interpol all’Olympia, hanno pubblicato un nuovo lavoro, Death Magic, in agosto; sono un gruppo capace  di catturare l’attenzione e affascinare soprattutto live. Con sonorità fra lo psichedelico, l’house e  l’electrorock che si mescolano a suoni più primitivi e selvaggi, hanno come di consueto fatto la loro apparizione sulle note di Pain, musica composta per il videogioco Max Payne 3, a cui una dopo l’altra hanno fatto seguito in un crescendo  varie tracce vecchie e nuove fra le più trascinanti della band. Fra tutte segnalo in particolare Zoothorns dall’album Health del 2008, Die Slow da Get Color e dall’ultimo bellissimo album, Death Magic, Men Today e Stonefist.  Insomma gli HEALTH sono davvero una piacevolissima certezza. 

Subito dopo, sull’altro palco, si esibiva  Rhye, che ho sentito purtroppo solo in lontananza, preferendo mantenere la mia posizione in attesa dei pezzi forti della serata: Kurt Vile e Thom Yorke. Verso le 20 infatti è venuto il momento di Kurt Vile. Cantautore americano estremamente interessante, è anche lui fresco della pubblicazione di un nuovo lavoro, acclamato dalla critica e molto apprezzato dal pubblico. La sua musica è un brillante mélange di folk, psichedelia e new wave ed è corroborata da testi malinconici e divertenti assieme.  Breve esibizione la sua, solo nove brani, per ovvi motivi di tempo, ma trascinante e coinvolgente com’è questo artista tanto versatile quanto simpatico. Non sono mancati i brani più attesi del nuovo lavoro, Dust Bunnies e Pretty Pimpin e la bellissima, ironica e trasognata I’m An Outlaw.

 Kurt Vile Pitchfork 2

Dopo Kurt Vile, sull’altro palco, si esibivano i Battles, che purtroppo, come Ryhe, non ho potuto seguire: una folla sempre più imponente si assembrava intanto attorno al palco principale in attesa di Thom Yorke. Aggiunto in extremis alla lineup del festival dopo la defaillance di Björk, la scelta del frontman dei Radiohead si è rivelata provvidenziale e indovinatissima.  Brillante, intelligente, visionario,  Thom Yorke da sempre fa viaggiare in parallelo la produzione con i Radiohead con progetti solisti e collaborazioni tanto feconde quanto sperimentali con artisti talora diversissimi l’uno dall’altro: comune denominatore l’inesauribile vena creativa, il desiderio di esplorare nuovi territori musicali ma non solo. E’ un’esperienza sinestetica assistere  a uno dei concerti di Yorke, attualmente in tour per presentare il suo nuovo Tomorrow’s Modern Boxes. Accompagnato sul palco dal polistumentista e storico produttore dei Radiohead Nigel Godrich e da Tarik Barri (che ha il compito di accompagnare la musica e la voce di Thom ricamando con il computer immagini sempre più luminose, intricate e futuristiche, che si proiettano sul fondo del palco) Yorke ci ha regalato una performance allo stesso tempo sonora, visiva, emotiva e intellettuale. Le undici tracce proposte spaziano come di consueto fra titoli vecchi e nuovi della produzione solista: ci sono brani dall’album The Eraser, come The Clock, Black Swan e Cymbal Rush, brani dall’ultimo lavoro Tomorrow’s Modern Boxes, come Brain In A Bottle and Guess Again, e c’è anche Amok dall’omonimo lavoro firmato con il progetto Atoms for Peace.

 Thom Yorke Pitchfork

Thom Yorke passa dalla console al microfono, canta, balla, immerso totalemente nella sua musica senza per questo dimenticarsi del pubblico che assiste fra l’ammirato e lo stupito ad uno spettacolo assolutamente nuovo e inusuale. Il concerto, che non dimenticherò facilmente, si chiude sulle note di Default, un altro brano degli Atoms for Peace. Infine, ciliegina sulla torta di una serata perfetta, l’esibizione, altrettanto futuristica e visionaria di Kieran Hebden, alias Four Tet, con le sue sonorità all’intersezione fra oriente e occidente, fra house, elettronica e discomusic, capace di far sognare e ballare senza soluzione di continuità. Sabato 31 non ho preso parte alla giornata conclusiva del festival. Segnalo tuttavia la presenza, fra gli altri, dei Run The Jewels, Spiritualized e Ratatat.

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