Algiers – Shook

L’intenso ritorno degli Algiers si intitola Shook.

Avevamo un po’ perso le tracce degli Algiers dopo il loro terzo disco, There Is No Year, uscito ormai quasi tre anni fa. E in effetti sono corse diverse voci sul fatto che la band di Atlanta abbia attraversato un periodo di crisi e sia stata perfino sull’orlo dello scioglimento. Sembra che proprio il loro “coming back” nella capitale della Georgia e il rituffarsi nell’ambiente “familiare” abbia coinciso con una ritrovata serenità che ha di nuovo stimolato la loro vena creativa. Il risultato è Shook (Matador Records), un disco di ben diciassette brani, tra lunghi, brevi e cortissimi – questi ultimi sono quasi sempre parlati su sottofondo musicale –, attorno ai quali hanno riunito un buon numero di esponenti dell’alternative music d’oltreoceano.

Molti ospiti per gli Algiers di Shook

Qualche nome: Big Rube, Billy Woods, Mark Cisneros, Samuel T. Herring, La Toya Kent e altri. Troppo lungo sarebbe rammentarli tutti; tuttavia non si può tacere la presenza di Zack De La Rocha, che con i suoi Rage Against The Machine è stato senza dubbio il precursore di un messaggio musicale e “politico” al quale gli Algiers devono non poco e che duetta con Franklin James Fisher in Irreversible Damage, non a caso forse il brano più tipicamente “Algiers” del disco. Nel complesso la band di Atlanta resta fedele a quella “cifra” musicale che l’ha caratterizzata finora: una miscela che su un solido fondale rap e trip hop innesta r&b, soul, jazz e un’attitudine punk a miscelare il tutto, con l’ausilio di un elettronica “spinta” ma anche molto “suonata”. In questa loro ultima prova sembra però di notare un certo “addolcimento” dei toni, sia dal punto di vista della musica che da quello dei testi che, pur non rinunciando alle loro caratteristiche tematiche “politiche”, lasciano spazio anche ad argomenti più personali e intimistici.

I diversi momenti del disco

Se può interessare al lettore qualche nota sui singoli brani, Out Of Style Tragedy presenta marcati accenti jazz nei sassofoni. A Good Man, ci accoglie con un esordio quasi punk dove spicca la chitarra di Lee Tesche. I Can’t Stand It esordisce in modalità lounge per poi assumere un andamento soul. Green Iris è un lungo brano di sei minuti che esordisce con una intro di piano piuttosto soft, con coro gospel sullo sfondo ad accompagnare un Fisher in versione spiritual, con ricami di sax tenore dalla metà in poi che introducono ad un finale di marca soul: certo una delle punte più alte del disco.

Cold World è forse il brano più “rock”, se questo termine ha un senso per la musica degli Algiers, al quale peraltro la seconda voce di Nadah El Shazly conferisce a tratti un’atmosfera quasi orientaleggiante, che Fisher si incarica peraltro di smorzare fino quasi ad annullarla. Something Wrong è il brano più “sfacciatamente” elettronico, peraltro inesorabilmente scandito dai suoni “naturali” del basso di Ryan Mahan e della martellante batteria di Matt Tong, che gli danno comunque anche una forte impronta rock. An Echophonic Soul è un breve brano di grande lirismo, con un dialogo fra due fiati che accompagnano un suggestivo parlato. Momentary, che si avvale anche della calda voce di Lee Bains III, chiude il tutto in una atmosfera che sembra prefigurare un futuro più “sereno” per i membri della band. Un disco che forse spiazzerà un po’ i sostenitori più “arrabbiati” degli Algiers, ma che invece a nostro parere aggiunge nuovi e convincenti colori alla loro tavolozza musicale.

Algiers – Shook
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“Giovane” ultrasessantenne, ha ascoltato e ascolta un po' di tutto: dalla polifonia medievale all'heavy metal passando per molto jazz, col risultato di non intendersi di nulla! Ultimamente si dedica soprattutto alla scoperta di talenti relativamente misconosciuti.

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