Anna Calvi dedica un EP di quattro canzoni al Tommy Shelby di Peaky Blinders.
Sono passati ormai quasi quattro anni dall’uscita dell’ultimo disco di inediti di Anna Calvi, Hunter. E ancor di più ne erano trascorsi da questo al precedente One Breath. Due anni fa, poi, l’uscita di Hunted, ovvero la rilettura in chiave “rovesciata” di sette dei dieci brani di Hunter di cui si è già parlato in queste pagine. Adesso la musicista inglese, nel frattempo proficuamente dedicatasi alle colonne sonore – anche in forma di canzone – di alcune serie televisive di successo, se ne esce con questo EP di quattro brani: Tommy, dedicati al Tommy Shelby di Peaky Blinders e strettamente legati alla sua partecipazione alla serie di grande successo. La pubblicazione di un “disco corto” pone spesso qualche interrogativo: operazione “commerciale” in un momento di relativa stasi creativa o urgenza di sottoporre al pubblico e al vaglio della critica un materiale in cui si ripongono fondate speranze di apprezzamento? Il dubbio è ancor più legittimato dal fatto che ben tre dei quattro pezzi sono in realtà cover “rubate” al repertorio di altrettanti mostri sacri.
Tre cover e un originale
All’interno di un abbastanza chiaramente percepibile fil rouge delle tematiche sottese ai testi scelti, il disco si presenta piuttosto vario dal punto di vista musicale. Il brano d’esordio, Ain’t No Grave, traduce la cupezza dell’originale di Johnny Cash, che lo riprendeva dalla tradizione gospel, in un tappeto ipnotico quasi drum & bass che denuncia una abbastanza evidente manipolazione elettronica, con un sostanzioso intervento di chitarra elettrica verso la metà del pezzo. Burning Down – salvo sorprese, l’unico brano originale – ci porta invece in un’atmosfera ovattata evidenziata da una batteria molto più “discreta” e da una voce che spesso diventa quasi un sussurro, capace però di toni acuti e di continui cambi di tono. Red Right Hand è la cover dell’omonimo brano di Nick Cave contenuto in Let Love In e brano protagonista (in molte cover) di Peaky Blinders. Manco a dirlo, vira decisamente sui toni cupi, con le tastiere elettroniche a farla da padrone e interventi di un coro quasi “epico”, con qua e là appena percettibili sfumature noise.
Lo spirito dell’australiano aleggia su tutto il brano e anche la voce dell’interprete si adegua all’atmosfera fino a richiamare le più celebri compagne di avventure musicali di Nick, da PJ Harvey ad Anita Lane. All The Tired Horses, cover di uno dei brani più “strani” di Dylan contenuto in Self Portrait, torna su toni più calmi, mantenendosi abbastanza fedele all’originale e accentuando quel carattere epico di cui si diceva, affidato a una batteria solenne e a un basso cadenzato ma non invadente: il tutto per meno di tre minuti.
Il giudizio su Anna Calvi – Tommy
Al netto di una notevole capacità negli arrangiamenti l’elemento di maggiore spicco del disco resta la voce di Anna Calvi, sicura quanto duttile e capace di repentini cambi di ritmo e di tono: dal dolce all’acuto passando per il quasi sussurrato, senza mai perdere un colpo. Una voce in grado di richiamare a tratti parecchie sue compatriote anche molto diverse tra di loro: dalle cantanti simbolo del folk revival inglese come Sandy Denny fino alle sue colleghe più “recenti” e tormentate come PJ Harvey. Al termine di un ascolto comunque gradevole si resta con un po’ di rimpianto per una fine troppo prematura e con una sensazione: quella che la tendenza a proporre da un po’ di tempo cover – fino, come si è visto, alle auto-cover – mostri una incipiente attitudine della musicista londinese a proporsi come interprete – peraltro notevole – piuttosto che come songwriter.
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