Mad!, un titolo perfetto per descrivere i sempiterni Sparks.
Cinquantaquattro anni di carriera a partire dal primo album sino ad arrivare all’odierna emissione, ventottesimo lavoro a lunga durata, e i fratelli Mael continuano a fare scintille.
Caso più unico che raro di band che non si adagia mai su spinosi allori, gli Sparks proseguono, a discapito di una anagrafe pensionistica da un bel po’, un percorso musicale mai banale, mai scontato e soprattutto mai contenutisticamente ruffiano, o piacione che dir si voglia, verso una fanbase ormai abituata a non affezionarsi troppo ai suoni o alle canzoni di un album ben sapendo che sarà nuovamente stupita dal successivo.
I miracolosi fratelli Mael
La capacità compositiva di Ron Mael pare non aver limiti così come la voce di Russell, i testi continuano ad essere spiccatamente ironici e riflessivi al contempo; insomma, quale sarà il segreto di tal longevità in un mondo fagocitante talenti qual quello della musica popolare è?
Mad! è ennesima prova di questa attitudine; si dovesse trovare un genere per definirlo sarebbe di ardua individuazione e il paradosso sta nell’avere la capacità di scrivere canzoni all’apparenza di facile presa, ma che per essere completamente assimilate richiedono più e più ascolti tanti sono i substrati inseriti in modalità subliminale nelle songs.
Mad! è una trionfale sequenza di canzoni e idee
L’apertura ne è programmatico esempio con Do Things My Own Way che la dice lunga già dal titolo: non è immediata, ma risulta di difficile rimozione quando diventa un elettronico mantra nelle nostre orecchie. JanSport Backpack sorprende per l’essere classica e al tempo stesso innovativa, scarna e insieme ridondante.
Hit Me Baby rammenta ma solo a tratti qualcosa della joint venture FFS con i Franz Ferdinand, percussiva e graffiante, con un chorus glam proveniente dal futuro. Running Up A Tab At The Hotel For The Fab e il suo disturbante synth démodé si impongono come marcia marziale per masse a venire, salvo sfociare in un orchestrato che ne modifica i significati. My Devotion è l’apparenza della convenzione (delicatissima love song o perversa presa per i fondelli?), rilascia emozioni old fashioned e pare quasi devota ai primi Erasure. Don’t Dog It spiazza progredendo con l’intento di estrapolare musica da camera dal proprio contesto e strizzarla all’interno di una pop song.
In Daylight è perfetta crasi tra suoni ultramoderni e intenzioni antiche. I-405 Rules riporta alle atmosfere di Lil’ Beethoven, una delle loro prove più ostiche, ma riesce comunque nell’intento di non risultare avulsa dal resto.
A Long Red Light, uno degli episodi più astrusi e sperimentali, prosegue con archi sintetici e una dissonanza sinistra, mentre Drowned In A Sea Of Tears è drammatica rimembranza di Annette, il musical realizzato con Leo Carax e da molti ingiustamente sottovalutato, ma assolutamente da riscoprire.
A Little Bit Of Light Bander è un auto-omaggio al periodo dei fulgori glitterati di Kimono My House e tuttavia non avrebbe sfigurato nel combo FFS, mentre Lord Have Mercy, che chiude il lavoro, contiene gemme beatlesiane inevitabili da sempre per chi si cala negli universi del pop e qui qualche richiamo a Hey Jude non può sfuggire alle orecchie più esperte.
Che altro dire che già non dissi, gli Sparks sono ineludibili nella loro necessaria udibilità.
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