Jakob Dylan e i Wallflowers tornano con Exit Wounds.
Che Jakob Dylan sia il figlio di Bob è informazione inutile per un artista che ha ormai alle spalle sei album con i Wallflowers e due come solista, ma con il papà ancora così in forma e sulla cresta dell’onda, pure Exit Wounds, settimo capitolo della band, viene presentato ovunque ancora come il disco “del figlio di”.
Ingiustamente direi, visto che nonostante Jakob ovviamente non possa (e credo mai abbia neanche tentato di…) raggiungere la statura artistica e storica del babbo, la sua discografia resta comunque una delle più importanti della musica americana degli ultimi 30 anni. Exit Wounds esce dopo un periodo di lungo silenzio, dopo che l’ultimo capitolo Glad All Over nel 2012 aveva fallito un rilancio del marchio anche tra un pubblico non esclusivamente roots-oriented.
Tra roots e classic-rock
Di fatto la storia dei Wallflowers dimostra una certa regolarità nell’alternare album di matrice puramente “Americana” come l’esordio del 1992 (che anzi musicalmente si identificava parecchio nel movimento H.O.R.D.E. dell’epoca), il vendutissimo Bringing Down The Horse del 1996 o Rebel, Sweetheart del 2005, ad altri dove era evidente il tentativo di trasformarsi in band radio-friendly con produzioni più che ammiccanti (Red Letter Days del 2002 e appunto Glad All Over), con in mezzo l’ottimo Breach del 2000 che resta forse il loro album più equilibrato tra le due anime. Exit Wounds, come si suole dire, “riporta tutto a casa” in un rassicurante sound da vecchio roots-rock anni 90, quasi come se Dylan Jr. si sia reso conto che è inutile cercare di raggiungere un pubblico che mai potrà comprendere in pieno le sue canzoni decisamente da era classic-rock, per cui meglio tener caldi i fans della prima ora. Ne è segno anche il fatto che dopo anni i Wallflowers escono dal mondo delle major e si accasano alla New West, etichetta importantissima, ma pur sempre in una nicchia ben definita come quella del rock americano.
Exit Wounds è il progetto del solo Jakob: i Wallflowers del passato non esistono più
Il risultato è valido se sentito con orecchio allenato al genere ed Exit Wounds è probabilmente il loro sforzo migliore dai tempi appunto di Breach, sebbene ormai in ritardo con la storia per diventare anche un disco importante per tutti.
Resta il fatto che purtroppo non abbia più senso parlare di “loro” quanto di “lui”, perché la formazione attuale è completamente rinnovata, e non ritroviamo nessuno dei musicisti delle formazioni più storiche (con perdite comunque significative in termini di personalità come Rami Jaffee o Michael Ward), ma qualche scafato session-man in più. Jakob comunque dimostra che il lungo stop gli ha fatto bene perché brani come Maybe Your Heart’s Not in It No More o I’ll Let You Down (But Will Not Give You Up) entrano di diritto nel suo songbook migliore. Lo stile di base comunque resta il solito, con qualche momento in cui si alza il ritmo come Who’s That Man Walking ‘Round My Garden, ma in un clima generale senza troppe spigolature, nel caso sempre smussate dall’intervento della seconda voce di Shelby Lynne. Potrebbe essere il “car-record” giusto per l’estate per chi avrà possibilità di viaggiare.
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