Quasi dimenticato, ritorna in versione restaurata il film sulla ‘fine’ dei Beatles.
Let It Be, come sanno quasi tutti, è un film ‘oscuro’, nel senso che la tenebra attraversa tutti i suoi protagonisti, dal regista Michael Lindsay-Hogg, ai quattro protagonisti, i Beatles, in un momento in cui, oscuramente, stanno per lasciarsi. In effetti, tutto è un po’ un abbandono: dal titolo della canzone e della pellicola fino alla scelta di montare frettolosamente ore e ore di girato in presa diretta fra gli studi di Twickenham, gli uffici della Apple e il famigerato roof, abbandonando l’idea di filmare un vero e proprio concerto dei quattro che avevano, a loro volta, abbandonato i concerti dal vivo nel bel mezzo del 1966.
Lasciarsi andare, dimenticare le lacrime, al punto che Let It Be per un buon periodo sparisce dalla circolazione: del resto, viene proiettato quando i Beatles, di fatto, non esistono più e tutti i litigi, le difficoltà del povero George a tenere il passo con gli altri tre e un girato non proprio ineccepibile fanno il resto. Il film, a torto o a ragione, è stato sempre considerato come il punto più basso della filmografia beatlesiana, così come il disco che ne deriva è senza dubbio quello più debole della loro discografia.
Da Get Back a Let It Be, da Let It Be a Get Back
Solo uno psiconauta musicale come Peter Jackson poteva riprendere tutto ciò che era stato abbandonato e renderlo un incredibile e sfavillante ritorno di fiamma creativa che si chiama Get Back (se ne è parlato qui). Verrebbe quindi inevitabile chiedersi perché mai oggi rivedere proprio quel Let It Be di cui abbiamo scritto sopra, dove niente apparentemente sfavilla, anzi tutto si opacizza. Eppure, è proprio vero che le cornici certe volte sono più importanti del quadro. A inizio di ‘proiezione’ proprio il regista originario, Michael Lindsay-Hogg, confessa a Peter Jackson che “il mio Let It Be è una prefazione a Get Back”: se lo avete visto, Get Back, troverete, guardando questa versione restaurata, che è più luminosa dell’originale, una specie di fuori campo, di preludio, di larva a un capolavoro che sarebbe arrivato più di 50 anni dopo. È un valore discretamente alto, perché nel film del 1970 tutti gli spunti del lavoro di Jackson sono come abbozzati, compreso il nervosismo dei poliziotti che interromperanno brutalmente il concerto – e questa brutalità nell’originale non è nemmeno accennata, e quasi nessuna delle sequenze è ripresa nel lavoro di Peter Jackson, al punto che questo Let It Be, per uno spettatore molto più giovane di noi potrebbe essere una scoperta del tutto inedita.
Chi, come il sottoscritto, così giovane non è, sul rullo finale del concerto in cima agli uffici della Apple si trova a pensare che, se ci fosse stato prima la cavalcata di otto ore di Peter Jackson, magari in tempo reale, forse i Beatles non si sarebbero mai sciolti. La storia non si riscrive, teniamoci stretto anche questo frammento di creatività, con un senso di gratitudine che, come al solito, abbraccia non solo i quattro di Liverpool ma anche i loro straordinari comprimari, Mal Evans, George Martin, Neil Aspinall e, ovviamente, Michael e Peter. Che dio li benedica.