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John Vignola e la sua “Storia di una canzone”

Il nostro ‘professor’ John Vignola ha avuto un’idea che potrebbe sembrare ovvia, eppure non lo è (come spiegherà fra poco lui stesso). Nell’immenso universo virtuale pochi sono i pianeti abitati da narrazioni dedicate alla genesi di una canzone. La lacuna è ancora più evidente in ambito italiano ed è stato questo lo spunto per il podcast intitolato Storia di una canzone”.

Con la regia di Danilo Paoni Vignola ha approntato dieci sostanziose (dai 13 minuti ai 21 minuti)  puntate che trattano canzoni fondamentali per la musica – ma anche per l’immaginario collettivo –  del nostro paese: Canzone di Marinella (Fabrizio De André e Mina), Almeno tu nell’universo (Mia Martini), Come è profondo il mare (Lucio Dalla), Quelli che… (Enzo Jannacci), La bambola (Patti Pravo), Gianna (Rino Gaetano), La libertà (Giorgio Gaber), Bandiera Bianca (Franco Battiato), Emozioni (Lucio Battisti e Mogol). Vita spericolata (Vasco Rossi).

Ci è sembrato interessante chiedere all’ideatore del podcast qualcosa di più sulla genesi di questo nuovo pianeta musicofilo.

John Vignola Storia di una canzone

Di chi è stata l’idea di “Storia di una canzone”?

Mi è stato proposto di realizzare  un podcast e, avendo una certa propensione a raccontare storie (in tutti i sensi), ho pensato fosse interessante provare a spiegare come si arriva a una canzone. È un tema sguarnito nel repertorio dei podcast. Il motivo l’ho scoperto strada facendo, come dice il Poeta: nei podcast è molto difficile, se non impossibile, inserire brani musicali. Questo per motivi di diritti ed editoriali.

È stato difficile scegliere i dieci pezzi?

Mica tanto. Si è tratto di una scelta rapsodica e quasi incosciente che è partita dal mio sentimento nei confronti di alcune canzoni. Quando sei arbitrario basta che tu lo dichiari e tutto il resto è noia, come dice un altro Poeta. L’unico limite che mi sono imposto è che le canzoni  fossero il più possibile patrimonio comune. Ossia che, anche solo nominandole, molti potessero averle in mente.

Il lavoro sulla narrazione. Sorprese?  Scoperte e/o riscoperte? Dettagli dimenticati?

Devo essere sincero: no. Questo perché, giocando facile, mi sono dedicato a canzoni su cui avevo già un buon ‘archivio’. La vera sorpresa è stata costatare, ancora una volta, quanto queste canzoni siano patrimonio davvero comune.

https://youtu.be/zkDAojguMAY

Il confronto con il presente della canzone italiana può essere impietoso?

Forse perché non capiamo il presente. Credo ci sia ancora musica e ci siano ancora canzoni che sappiano raccontare quello che hanno raccontato le canzoni del passato. Ascoltarle senza pregiudizi e senza nostalgie per molti di noi è un’impresa titanica, ma per chi fa il mio lavoro è un obbligo deontologico, diciamo così.

Ci sarà una seconda parte più alternativa?

Ci sarà sicuramente un’altra serie di “Storia di una canzone”. Finché non sarà possibile inserire in ascolto anche i pezzi di cui si parla rimane abbastanza complicato dedicarsi a canzoni belle, importanti, ma marginali. La speranza è che un progetto come questo permetta, anche sul campo dei diritti e delle concessioni editoriali, di smuovere qualcosa.

Difficile raccontare tutto in 13-21 minuti? In alcuni casi hai inserito anche una prospettiva  socio-culturale.

Molto dipende dalle circostanze in cui nasce una canzone. Ti faccio un esempio, anzi due. Per “La bambola” di Patti Pravo è stato necessario prendere in considerazione tutto il movimento non solo beat m anche psichedelico che andava componendosi fuori dall’Italia e di cui la Pravo, più come icona che come cantante, è finita per diventare portavoce. Nel caso, ancora, de “La libertà” di Gaber era impossibile non riferirsi alle contingenze sociali e storiche che hanno portato Gaber al teatro-canzone

I pezzi sono tutti oggettivamente intoccabili. Hai voglia di sceglierne uno e uno solo per tue ragioni affettive?

Più che per il pezzo in sé per chi lo ha rappresentato direi, senza grandi dubbi, “Quelli che… “ di Enzo Jannacci.

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Ammiratissima voce radiofonica di Rai Radio 1, John Vignola è anche autorevole esperto di musica. Ha collaborato per anni con riviste quali Rockerilla e Mucchio Selvaggio, oltre a occuparsi di rock e dintorni per diverse testate “generaliste”. Faticherebbe a vivere felice senza i Beatles.

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