di Antonio Vivaldi
Così come capita di andare in un luogo con idee preconcette e di osservarlo solo in base a quelle (ad es. “vado in Africa a vedere la povertà”), lo stesso accade a volte con i dischi. Il nuovo album dei rinati e rimaneggiati Afghan Whigs era già stato vaticinato come ‘buono ma senza il fascino oscuro dei precedenti’, giacché c’era da immaginare che i 16 anni trascorsi da 1965 avrebbero regalato una qualche morigeratezza all’anima tormentata del leader Greg Dulli. In realtà la faccenda non è così ovvia e Do To The Beast si propone come un lavoro quasi più solista che di gruppo nel quale la sofferenzona di Dulli e i suoi disastri relazionali prendono tinte strumentali lontane dal rock venato di soul degli AW d’epoca (l’assenza dello storico chitarrista Rick McCollum ha un certo peso in tal senso). Siamo in territori che si potrebbero persino definire autoriali e in cui Dulli appare più indifeso che temibile, più blues che noir, più persona che personaggio. Appare anche un po’ stanco vocalmente, ma il grido strozzato nel finale di I Am Fire non può che commuovere, così come il falsetto improbabile sulle prime note di Algiers
. Ecco, per apprezzare un disco tanto intenso quanto introflesso (e a volte irrisolto) come Do To The Beast, bisogna provare a dimenticare proprio … gli Afghan Whigs.7,8/10
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The Afghan Whigs – The Lottery