PsychoWave - Intervista | Tomtomrock

PsychoWave - Intervista | Tomtomrock

Gli PsychoWave nascono a Genova nel 2016 per guizzo artistico di tre ‘veterani’ del rock cittadino. Li elenchiamo in doveroso  ordine alfabetico con citazione dei gruppi di cui hanno fatto (o fanno) parte: Carlo Cheldi (chitarre – Sleeves), Pino Parello (basso – Echo Art, Sleeves, Avarta, La Banda di Piazza Caricamento) e Roberto Vinciguerra (voce, chitarre- Alter Ego. Pornogoats)).  Con loro il percussionista Kasun Dias (Pedro Navaja Soundmachine, La Banda di Piazza Caricamento) e la tastierista Lulla Rock, entrata in formazione qualche tempo dopo.

A  Tomtomrock l’ep d’esordio della band, Desert, è piaciuto parecchio. Un lavoro in cui è evidente l’esempio di maestri quali Joy Division, XTC, Thin White Rope, Echo & The Bunnymen, Wire e altri gloriosi nome fine ’70-inizio ’80. Ma è anche ben percepibile la sapienza nel giocare con gli stili dei maestri incrociandoli e accostandoli in modi imprevisti.

Quella che segue è l’intervista agli PsychoWave, condotta in doverosa modalità retrò, ovvero non tramite posta elettronica, ma con conversazione al tavolino di un locale e tintinnare di boccali di birra in sottofondo. Intervista al gruppo si diceva, anche se la parte del leone conversatore l’ha fatta Roberto Vinciguerra (gli interventi degli altri sono specificamente indicati).

Psychowave – Intervista | Tomtomrock

 Cominciamo dalla scelta del nome, un vero manifesto programmatico. Curioso come ci sia un dj trance che utilizza la stessa sigla artistica… 

A noi piaceva un termine dove ci fosse la parola wave, visto che ci ispiriamo alla new wave. E spontaneamente ci è venuto l’idea di aggiungere psycho, per dare l’idea di un’attitudine un po’ irregolare. Non sapevamo assolutamente dell’esistenza di un altro Psychowave. D’altronde negli anni ’80 c’erano i The Beat inglesi e quelli americani. Va aggiunto chee Psycho ci riporta a un locale che a Genova fu il simbolo della new wave, lo Psyco Club (da pronunciarsi rigorosamente “psico”, però).

Nascete come una band che fa cover…

Quando siamo nati arrivavamo tutti da esperienze in cui suonavamo cose scritte da noi e ci sentivamo un po’ appesantiti.  Così ci siamo detti: “divertiamoci, cominciamo suonando cover”. E abbiamo fatto così, però scegliendo le canzoni che ci hanno cambiato la vita. Nel corso di un anno abbiamo messo in repertorio una trentina di brani, anche di più, Ed effettivamente ci siamo divertiti.

 

A un certo punto entra in scena la misteriosa Lulla Rock. Com’è andata?

C’era questa ragazza sotto il palco a tutti i concerti. Così una volta le abbiamo chiesto se, per caso, sapeva suonare le tastiere. A noi serviva una tastiera che facesse dei contrappunti  e lei aveva questa tastiera molto Sixties.

Lulla Rock: Insomma, hanno preso una tastiera, non una tastierista.

Il passaggio alle canzoni scritte da voi?

A un certo punto è successo che mi sono trovato con un riff che mi sembrava micidiale e insieme a Carlo lo abbiamo trasformato in una canzone, Getting Better. Anche Carlo stava cominciando a sviluppare idee sue, i suoni che venivano fuori erano belli,  così abbiamo deciso: “Basta cover”.  Non le suoniamo più neanche in sala prove.

Ascoltandovi si percepiscono influenze diverse, magari nello stesso pezzo. E’ come se tutte le cover suonate avessero creato un caleidoscopio artistico…

Parlo a titolo personale: io ho due band che rappresentano i miei fari, i miei nomi di culto assoluto: gli XTC e i Pixies. Chiaro che quando compongo qualcosa di loro entra in scena.

Negli Psychowave c’è Casun Dias che, insieme a Lulla Rock  appartiene a una generazione meno ‘attempata’ della vostra. Come è entrato nel mood che vi caratterizza?

Casun non conosceva nulla di quello che gli proponevamo. Arriva da esperienze totalmente diverse rispetto alla new wave, non aveva mai sentito i pezzi che gli proponevamo. Eppure ci è entrato dentro col cuore, oltre che con una tecnica eccellente.

Registrate rapidamente in studio?

Sì, per il disco avremmo voluto fare tutto in presa diretta, poi si è deciso diversamente. In ogni caso sono stati tre giorni pieni, con pochissime perdite di tempo. Poi i costi di registrazione come sai, sono alti…

L’idea di iniziare con un ep è un po’ quella di un primo seme gettato?

Anche gli XTC hanno iniziato con un ep! Scherzi a parte, avevamo questi cinque pezzi che rappresentavano i primi frutti del nostro lavoro e volevamo assolutamente registrarli bene e tenerli per un possibile lp. Quando abbiamo ascoltato il risultato finale abbiamo capito che occorreva pubblicarlo. Non siamo riusciti a trattenerci. Ora che mi viene in mente, anche uno delle mie band preferite della scena attuale, gli Idles, ha iniziato con due ep.

Se qualcuno vi definisce nostalgici lo mandate a quel paese?

(Tutti in coro) No!!!!! Viva la nostalgia. Se la si usa bene.

Mi dite un nome-simbolo per ciascuno di voi

Roberto Vinciguerra: Io te li ho già citati. Tengo a precisare che i veri Pixies, i ‘miei’ Pixies, sono quelli con Kim Deal in formazione.

Carlo Cheldi: Mi auto-cito dicendo gli Sleeves. Poi i Tool, anche se non c’entrano nulla con noi.

Pino Parello: Frank Zappa, e pure lui non centra niente con noi.

Lulla Rock: I Wilco, giusto per dimostrare che sono un po’ più giovane di loro.

A proposito di citazioni d’epoca, parliamo di una delle vostro foto. La maglietta di Pino con la copertina di Unknown Pleasure dei Joy Division. Siete al Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova. Alle vostre spalle la Tomba Appiani, immortalata sulla copertina di Closer, sempre dei Joy Division…

La Tomba Appiani  è sulla copertina di un disco che ha cambiato la vita a molti ragazzetti di fine anni ’70-inizio ’80 come me. Con quella foto abbiamo voluto ricordare che qualcosa di importante per la musica ha avuto a che fare con Genova. E ovviamente abbiamo voluto rendere omaggio ai Joy Division.

Influenze più  contemporanee?

Ti ho citato prima gli Idles, che  suonano cose diverse dalle nostre, ma hanno un’energia che è la stessa che anche noi vogliamo avere. Poi mi è piaciuto molto l’ultimo Queens Of The Stone Age che a questa idea di energia unisce la tecnica.

Siamo nell’epoca di Spotify e delle compilation. Ha ancora un senso fare un album di canzoni?

Sì, è bello mettere insieme una raccolta di canzoni. Non ci siamo divertiti a farlo e speriamo che chi lo ascolta stia bene ascoltandolo. Il primo album vorremmo stamparlo anche su vinile, che darebbe un tocco più personale al lavoro.

In quel primo album  metterete delle cover?

Sì, ma una soltanto.  Certo che sarà dura sceglierla fra le 30-40 che abbiamo in repertorio.

Quanto riuscite a suonare dal vivo?

Non ci piace suonare nei pub dove la gente è interessate a bere e non a chi sta sul palco. Ora la priorità è farci conoscere con il disco. E intanto vogliamo arrivare ancor di più a un nostro suono. A quel punto diventerà un’esigenza importate suonare dal vivo, anche se la situazione non è rosea per quanto concerne i locali.

Cantare in italiano?

A nessuno viene in mente di  cantare in inglese un’opera di Bellini o di Rossini. Io penso che per un certo tipo di musica la lingua inglese sia l’unica possibile. E la cosa vale tanto per la metrica che per certe sfumature. Questo anche se ci sono state, e ci sono, grandi band in grado di cantare in italiano in ambito rock. Penso ai C.C.C.P. o ai Marlene Kuntz. Nei C.C.C.P. Lindo Ferretti salmodiava, aveva un modo di cantare tutto suo in cui l’italiano s’inseriva perfettamente.  Io non sono quel tipo di cantante. A me le canzoni escono naturalmente in inglese e lo stesso vale per Carlo. Le cose potrebbero cambiare, ma per il momento direi di no.

 

Il video di Desert dov’è girato?

Pino Parello: Il ‘deserto’ è dalle parti di Ponzone, in provincia di Alessandria. Il video lo abbiamo girato con un telefonino.

Roberto Vinciguerra: In realtà volevamo andare a Davis, in California dove vive Guy Kyser che fu uno dei due leader dei Thin White Rope, altro gruppo che amiamo. Poi per questioni di budget abbiamo ripiegato su Ponzone, la nostra America.

Alla resa dei conti, vi sentite più Psycho o più Wave?

Più Psycho!

 

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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