Incontriamo Giulio Pantalei, l’autore di Poesia in Forma di Rock.
Quando ci sediamo in un bar dell’EUR per una chiacchierata ho subito l’impressione di avere davanti a me il mio alter ego più giovane di 25 anni. Non ci assomigliamo per nulla fisicamente e forse nemmeno per carattere. Tuttavia entrambi in maniera non sospetta e assolutamente indipendente siamo giunti a conclusioni talmente speculari da destarmi quasi una certa irrequietezza.
Nel suo libro del 2016 Poesia in Forma di Rock – Letteratura Italiana e Musica Angloamericana, un autentico gioiello da consigliare a tutti gli appassionati di rock e letteratura, Giulio Pantalei racconta come si sia ormai “giunti a comprendere non solo che i testi della cosiddetta musica leggera abbiano attinto dalla letteratura, ma che la letteratura stessa abbia attinto dai testi musicali, in un proficuo processo di osmosi”.
L’osmosi tra rock e letteratura
Piccolo spazio pubblicità. Nel 2018, insieme a Maurizio Stefanini, intitolavo appunto “L’osmosi tra rock e letteratura” la conclusione del nostro libro Da Omero al Rock, scrivendo che l’osmosi non avviene in un’unica direzione perché “non sono soltanto i cantanti a ‘plagiare’ gli scrittori. Come dimostrano gli esempi di Salman Rushdie e Don Winslow, si verifica anche il fenomeno contrario, molto più spesso di quanto si immagini”.
Nella sua meticolosa ricerca Giulio Pantalei conferma quanto appena detto citando i casi di Irvine Welsh, Jonathan Coe, Douglas Copland, J.K. Rowling, Nick Hornby, Pier Vittorio Tondelli e Sandro Veronesi. Tutti influenzati dai testi delle canzoni di Morrissey! E si tratta ovviamente soltanto di uno dei tanti esempi possibili.
La coincidenza junghiana non si ferma qui. Tengo a sottolineare l’importanza degli anni che ci dividono. Perché 25 sono anche gli anni che separano la seconda dalla terza serie di Twin Peaks. Non aveva forse detto Laura Palmer che ci saremmo rivisti tutti dopo 25 anni? Ci ritroviamo così in piena sincronicità, non appena Giulio ed io scopriamo di avere in comune una viscerale passione per Twin Peaks.
L’intervista
Giulio, oltre a fare lo scrittore diciamo subito che sei anche fondatore, cantante e chitarrista del gruppo Panta, di cui è appena uscito Incubisogni, un album davvero meritevole per la confluenza di vari stili, con sonorità più dure del pop. Ce ne vuoi parlare?
Grazie innanzitutto per le belle parole e per aver cominciato dal disco, che considero una parte molto importante di me. Incubisogni è la risposta a una domanda maturata in tanti anni di live, vale a dire se il Rock possa avere ancora qualcosa da comunicare alle generazioni più giovani, inclusa quella a cui appartengo (dai ‘90 in su). Voler suonare questo tipo di musica oggi, almeno per noi come band, ha significato l’attraversamento dei nostri “sogni”, ovvero le speranze e i desideri di realizzare se stessi. E “incubi”, ovvero le paure e tutto ciò che rema contro alla libera espressione di chi siamo.
A ognuno dei due lati ideali del disco corrispondono gli influssi musicali con cui siamo cresciuti. Un rock più classico, più arioso e psichedelico per i sogni. L’alternative, il grunge e la new wave per gli incubi. Alla fine di questa giustapposizione rimangono i “bisogni”, ciò di cui non si può fare a meno e, nel mio caso, è esplorare le proprie zone più profonde grazie alla musica.
Poesia in Forma di Rock esamina il rapporto fra rock e letteratura da una prospettiva molto originale.Vale a dire l’influenza esercitata dagli scrittori italiani nei confronti dei musicisti anglosassoni. Instauri così dei binomi affascinanti iniziando da Patti Smith/Pier Paolo Pasolini, Manic Street Preachers/Primo Levi, Kurt Cobain/Dante Alighieri, e via dicendo. Succede addirittura che gli artisti rock facciano da apripista inserendo i nostri autori nel dibattito poetico angloamericano, o sbaglio?
Hai detto bene, sono connubi veramente affascinanti. E’ stata una rivelazione innanzitutto per me andarle a ricercare trovando una sostanza artistica e umana così densa, che collega mondi apparentemente lontanissimi e senza alcun contatto a prima vista come, chessò, la Divina Commedia di Dante e Nevermind dei Nirvana.
Quanto al fare da apripista, o più che altro al generare una nuova attenzione nei confronti di autori dalla letteratura italiana, sì, è capitato specialmente nei casi di Patti Smith e Morrissey con Pasolini rispettivamente negli Stati Uniti e Inghilterra. Poi c’è il caso davvero sorprendente di Mike Patton, che ha praticamente riscoperto, tradotto in inglese e traslato in musica sperimentale la Cucina Futurista di Marinetti, opera a stento conosciuta persino qui da noi in Italia.
La prefazione del tuo libro è stata scritta da Carlo e Paolo Verdone, padre e figlio. Come sei riuscito a coinvolgerli nel tuo progetto?
Ho il piacere di conoscere e suonare, quando capita l’occasione, con Paolo e Carlo da quasi dieci anni ormai e ti voglio subito dire che sono due tra i più grandi cultori di Rock e di musica in generale che io abbia mai conosciuto. Oltre che due persone splendide proprio umanamente parlando. Se non ricordo male, tutto è cominciato all’Università di Roma Tre, un giorno in cui stavo suonando una bellissima Fender Stratocaster nera a un festival di Antropologia Culturale dove ho conosciuto Paolo, scoprendo che studiava chitarra e che avevamo praticamente gli stessi gusti e la stessa formazione musicale.
Di lì e negli anni successivi suonando assieme ho avuto la fortuna di apprendere che erano entrambi appassionati ed esperti anche di letteratura e quando gli ho parlato di questo mio progetto di tesi, che poi sarebbe diventato il libro, sono rimasti subito piacevolmente colpiti valorizzando l’idea (che invece come sai trovava un po’ di ostacoli in accademia).
Vista l’influenza esercitata su grunge, Radiohead e persino un gruppo brasiliano underground come i Sepultura spetta forse a Dante la palma di autore italiano più determinante nel rock straniero. Qual è secondo te la molla che spinge tuttora i songwriters a riappropriarsi della nostra cultura nel ventunesimo secolo? Esiste una spiegazione dell’attualità di certi messaggi di ieri, ora ritrasmessi attraverso le distorsioni di una chitarra elettrica?
Esatto, Dante è forse l’esempio più grande e più nobile per rispondere a questa importante domanda, perché ha creato nella Commedia un universo – poetico, filosofico, tematico, simbolico, visivo – potenzialmente inesauribile in ogni tempo e luogo. Questa operazione immensa, un atto d’amore per l’umanità intera come ha detto Borges, può essere ricontestualizzata da ogni mente che ci si voglia confrontare per portarla nel proprio mondo e nella propria era al fine di scoprirne le analogie o le differenze.
I Radiohead che in 2+2=5 (The Lukewarm) rievocano gli ignavi danteschi come gli spettatori passivi delle guerre sul divano di casa ai nostri giorni. Ad esempio, operano una riflessione che ciascuno di noi potrebbe (e, magari, dovrebbe) fare sulla nostra epoca. Quanto alla “molla” che li spinga, credo che alcuni artisti abbiano la profondità e lo spessore per avvicinarsi all’Italia non solo perché abbiamo la pasta e la pizza migliori al mondo, ma perché abbiamo una tra le più grandi eredità artistiche e culturali al mondo. In breve, ci sono alcuni artisti stranieri che vengono in Italia e dicono soltanto “Italy, great food, great weather, great women”. Ce ne sono per fortuna altri che vengono qui e si innamorano della poesia viscerale che siamo riusciti a creare.
Sei addirittura riuscito ad intervistare Peter Hook, bassista dei Joy Division prima e dei New Order in seguito. Ci racconti com’è andata?
Ho contattato il suo ufficio stampa poiché sapevo che sarebbe venuto in Italia per alcune date. Sono stati tutti molto gentili. Prima mi hanno chiesto le domande scritte, poi mi hanno detto che gliele avevano sottoposte, gli erano piaciute e avrei potuto addirittura incontrarlo dal vivo per una veloce chiacchierata. Naturalmente Peter Hook, Joy Division e New Order sono dei miti assoluti per me e quando mi sono ritrovato a bere una pinta con lui è stato assurdo per me. Fu simpaticissimo, molto schietto e diretto. Mi disse che onestamente di Dante sapeva poco (del resto non era lui la mente dei Joy Division in questo senso) ma quel vinile chiamato Dante’s Inferno era un cimelio per lui e addirittura si era messo a cercarlo negli anni per acquistarne una delle poche copie in circolazione. Finimmo insultando allegramente tutti i talent show. Una serata magnifica.
Non possiamo non concludere con un accenno all’universo Twin Peaks. Da anni tu pratichi la meditazione trascendentale e hai avuto il privilegio di presenziare a Lucca per la creatività giovanile della David Lynch Foundation, conoscendo David Lynch in persona. Che cosa vuoi in più dalla vita?
Ahah, beh, ti ringrazio ma diciamo che di strada da fare ne ho ancora moltissimo. Rock’n’Roll, poesia, meditazione trascendentale, tutte cose che in questo paese danno molto da vivere no?! Scherzi a parte, sono felice di aver camminato attraverso il fuoco, citando Lynch. Per capire come portare tutto il potenziale irrisolto di questi miei sogni verso una realizzazione. Da quando ne ho preso coscienza, ci provo ogni giorno. In questo processo la meditazione trascendentale è stata ed è la chiave di volta per entrare realmente nel mio mondo, cercando di migliorarmi il più possibile e di trovare sempre un filo rosso per unire le cose e non dividerle, benché sia pieno di persone che provano ad ostacolarci. Sempre fedele al “together we stand, divided we fall” dei Pink Floyd, per chiudere in bellezza.