Foto di Laila Pozzo

La necessità dell’arte secondo Marco Rovelli.

Marco Rovelli | Intervista Tomtomrock
Foto di Laila Pozzo

Ci sono tante cose di cui parlare con Marco Rovelli, scrittore, poeta, musicista, professore di liceo e più in generale, fiero combattente contro le molte forme di oppressione e idiozia che affliggono oggi il mondo.

Iniziamo con il Marco Rovelli scrittore. I tuoi libri-reportage come Lager italiani, Servi e Lavorare uccide risalgono a qualche anno fa. Ho l’impressione che nei tre ambiti da te trattati (CIE, clandestini al lavoro e morti sul lavoro) le cose siano peggiorate rispetto a quando te ne sei occupato. E’ così?

E’ così soprattutto sulla questione delle migrazioni. A fronte di un fenomeno migratorio sostanzialmente stazionario, è cresciuto a dismisura un senso comune intramato di odio diffuso per “gli invasori” (e adesso anche i profughi tout court sono considerati tali, dieci anni fa c’era ancora almeno questa riserva). La percezione del fenomeno migratorio, nonché delle sue cause, delle sue motivazioni, delle sue modalità, è totalmente distorto. E qui si combina la disgregazione di un tessuto civile complessivo con la manipolazione fatta da una certa politica-spettacolo, mezzi uomini, anzi proprio non uomini, che usano i corpi e le vite delle persone per il proprio miserabile potere. E siamo arrivati a un governo che va definito senza mezzi termini fascista.

Ti confesso che non ho intenzionalmente letto La guerriera dagli occhi verdi. A volte capita di non voler farsi male con la realtà, con le storie vere dove i ‘buoni’ invece di vivere e vincere muoiono. Come è stato per te scrivere quel libro?

Come i reportage di cui sopra, anche la Guerriera, che però è un romanzo (per quanto basato su una storia vera), nasce da un viaggio. L’esperienza che ho fatto nell’andare in Kurdistan, nel mezzo della pianura desertica irachena dove passa il confine con i territori controllati dall’Isis, è stata una delle  più potenti che mi sia accaduto di fare nella vita. Ho avuto il privilegio di stare a contatto con i guerriglieri del Pkk, di ascoltare le loro storie, e di stare con un popolo fiero, coraggioso, pieno di dignità, accogliente, e che lotta per una prospettiva politica di liberazione che non è solo liberazione di un popolo oppresso, ma è anche liberazione dell’umanità oltre le strettoie di una società dominata da un capitalismo spettacolare che trionfa in tutto il mondo, in nome di una società libera, giusta, auto-organizzata, libertaria, ecologista.

Passiamo alla musica. Da qualche parte sei descritto come “cantautore anarchico”. Ti riconosci nella definizione?

In generale rifuggo da ogni definizione. Tecnicamente sono cantautore, sì, nel senso che compongo, canto e suono le mie canzoni; ma nella mia formazione musicale non è stato il cantautorato la scuola per me prevalente. Quanto all’anarchico, mi sento tale in senso ontologico ed esistenziale; da un punto di vista politico preferisco dirmi libertario (che nasce come un sinonimo, ma ha acquisito sensi più ampi. Nella mia formazione intellettuale e politica hanno contato più Bataille e Debord, giusto per fare un esempio, che Bakunin e Malatesta. Ma anche Marx, per dire.

I due dischi de Les Anarchistes erano molto belli. E i concerti persino migliori. Perché il gruppo non è andato avanti? So che è una domanda un po’ delicata…

Il gruppo aveva un grandissima potenza di fuoco musicale, ed è vero che si esprimeva ancora di più nei concerti. E’ un peccato non aver mai fatto un disco dal vivo, penso. Abbandonai il gruppo nel 2007 per una serie di divergenze e incomprensioni su diversi piani. Loro in realtà andarono avanti, fecero un disco nel 2008. Purtroppo adesso si può dire che il gruppo non ci sia più, dopo la morte troppo prematura del chitarrista Nicola Toscano.

Marco Rovelli | Intervista Tomtomrock
Foto di Laura Albano

Come hai deciso di diventare solista?

Non è stata una decisione appunto, ma un’evoluzione naturale dopo che ho abbandonato il gruppo. Già nel secondo album de Les Anarchistes c’erano alcune canzoni originali, che avevo scritto, così quando sono rimasto da solo mi sono cercato e trovato dei musicisti per fare un gruppo nuovo, anche se poi non ho mai formato un gruppo, ma un ensemble fluttuante di musicisti con i quali ho variamente collaborato. Tra loro, il musicista che è stato sempre presente con me è la violoncellista Lara Vecoli.  E poi dal secondo album ho trovato Rocco Marchi, che non solo suona con me, ma ha pensato agli arrangiamenti. E infatti la qualità del secondo e del terzo album ne risente ben in positivo.

 

I tuoi primi due album solisti, libertAria e Tutto inizia sempre, si muovono nell’ambito della canzone d’autore. Il terzo, Bella una serpe con le spoglie d’oro, recupera il patrimonio artistico della cantante folk (e molto altro) Caterina Bueno. Non c’è un’anima pop, oppure rock, in Marco Rovelli?

Pop no. Rock eccome. In un’intervista per Alias anni fa dissi che mia madre era Caterina Bueno e mio padre Iggy Pop. Io sono essenzialmente un punk-rocker di formazione. E ogni tanto in concerto mi piace fare come cover alcuni miei “cavalli di battaglia” come Sympathy for the Devil o Rock’n’Roll Suicide. Il primo album aveva una componente rock forte, direi. Il secondo meno, era più cameristico. Su quello che verrà, che abbiamo iniziato a registrare, ci sarà di nuovo un’anima elettrica potente.Marco Rovelli | Intervista Tomtomrock

 

Sei stato diverse volte al Premio Ciampi a Livorno. E sei toscano, per quanto ‘di frontiera’, come Piero. Senti in te qualcosa dell’irriverenza ciampiana?

Amo tantissimo Piero Ciampi, ma non credo che la sua poetica sia affine alla mia. Ahimè, potrei dire. Come lo dico per Iggy Pop, appunto… Quanto allo spirito anarchico, quello  in senso ontologico e esistenziale di cui si parlava, beh lì invece mi sento assai più affine a lui.

Arriviamo al triste oggi. Qualche tempo fa sulla tua pagina Facebook apparve una breve canzone improvvisata su un tema allora di attualità, non ricordo quale. Perché non riproponi quest’idea di canzoni istantanee? Gli spunti purtroppo non mancano.

Quella canzone, sui fatti di Gorino, quando alzarono delle barricate contro dei profughi, mi venne di getto. Avrebbe certamente senso proporre altre instant-songs, ma io seguo molto l’istinto, l’improvvisazione, e non riesco molto a programmare in fatto di musica. Sono in questo diverso rispetto alla mia attività di scrittura. Peraltro, per quanto io sia scrittore, mi riesce assai difficile scrivere di musica. Per me la musica, e il canto, sono la sfera dell’agire, dell’immediatezza. Il resto viene dopo.

 

Come insegnante di liceo cosa ci puoi dire della gioventù odierna? Con che occhi e con che strumenti vede il mondo?

Da una parte le mie considerazioni sono ottimistiche: stare con i giovani ti permette di non seguire l’inclinazione catastrofistica del “Ai miei tempi era meglio”. Segui le loro trasformazioni, e capisci che non sono destinati al peggio, anzi ci sono da certi rispetti qualità che altre generazioni non possedevano. Ma, d’altra parte, l’era del capitalismo spettacolare dominato dalla finanza genera mostri immaginari e un deterioramento dei rapporti sociali, civili, relazionali, che non può non preoccupare. La scuola potrebbe essere un contravveleno, ma essa stessa ha grandi problemi in questo paese.

La camera ardente di Claudio Lolli e tu che canti La giacca. Ti posso chiedere che esperienza è stata?

Un’esperienza di commozione infinita. Lacrime, abbracci, sguardi. Solo tre mesi prima che Claudio ci lasciasse ero stato a casa sua con Rocco per registrare la sua voce per la versione della Giacca che sarà nel mio album venturo. Non avrei mai voluto che quella fosse l‘ultima incisione che ha fatto nella sua vita. E questo, posta la stima reciproca, il legame umano e artistico (nel mio album precedente suonava il suo storico chitarrista Paolo Capodacqua), lo sento come un mandato da parte sua.

Domanda ovvia ma inevitabile: progetti per il tuo futuro artistico? 

Sul mio futuro artistico, intanto c’è l’album nuovo. Che sarà caratterizzato da una presenza più massiccia di canzoni d’amore. Che però non sono mai solo canzoni d’amore. Perché nelle relazioni d’amore si addensa la verità delle relazioni umane e dunque dell’esistenza dell’uomo. Parlare d’amore non è mai solo parlare d’amore. Ma poi ci saranno anche canzoni sui curdi, sui migranti che attraversano il mare, sul cuore di tenebra della nostra civiltà; e su Beckett, e sulla neve. Il titolo verrà, ma il concetto che accomuna tutto è il confine.

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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