Un saluto a John Prine, cantore dell’ordinario emblematico.
L’odiosa malattia del 2020 si è presa John Prine. Il cantautore nativo di Plywood, Illinois, aveva 73 anni e la sua salute era già molto, molto minata da problemi cardiaci e respiratori. Da qualche anno viveva a Nashville.
Dal primo, omonimo, album del 1971 (un classico non solo della musica acustica) fino a Tree Of Forgiveness (2018) lo stile e le canzoni di John Prine non sono molto cambiate. Forse perché le persone e le situazioni di cui raccontano nemmeno quelle sono molto cambiate. A dispetto delle novità tecnologiche e delle mutazioni sociali ci sono sempre grandi lutti e piccole gioie, ci si sposa e ci si separa, ci si racconta storie divertenti e storie tristi. E a volte le due dimensioni si confondono in un sapore che è tipico di John Prine, l’agrodolce. Le sue sono canzoni-rifugio. Ce n’è una per ogni momento della giornata, per ogni momento della vita.
La stima dei colleghi musicisti e i classici del repertorio di John Prine
Per questo suo talento descrittivo, e per il suo buon carattere, Prine era molto stimato dai colleghi musicisti. Bruce Springsteen, in un commosso ricordo (“entrambi siamo stati chiamati nuovi Dylan”), lo ha definito “patrimonio nazionale”. E Justin Vernon/ Bon Iver ha aggiunto “Una buona parte di ciò che sono come persona, per non dire come musicista, è merito di John Prine. Lui è il mio numero 1”. Nel 2002 i Low gli dedicarono un fosco brano semplicemente intitolato con il suo nome. Un disco-tributo, Broken Hearts & Dirty Windows – The Songs of John Prine. è uscito nel 2018 con la partecipazione, fra gli altri, di Justin Vernon, Conor Oberst e Drive-By Truckers.
I classici del suo repertorio sono tanti e sono stati tante volte reinterpretati: Paradise, Sam Stone, Hello In There, Blue Umbrella, Fish & Whistle, Jesus The Missing Years. A titolo di curiosità, Christmas in Prison fu la fonte d’ispirazione per Natale di Francesco De Gregori.
Due canzoni di John Prine molto vicine a noi
Ma ci sono altri due canzoni, meno note, che oggi – in questo oggi – è importante ricordare. La prima richiama uno slogan-auspicio di questi giorni, “andrà tutto bene”, che non sappiamo se e come si realizzerà. Parimenti Everything is cool oscilla fra dolore e speranza. “E’ tutto magnifico/ E’ tutto a posto/ Un po’ prima di Natale la mia bambina è andata via/ Ha attraversato il mare/ Fino a un’isola/ Mentre i ponti bruciavano scintillando/ Così lontana dalla mia terra/ E’ la valle degli indifferenti”. Se le premesse sono fosche, la conclusione è luminosa, quasi biblica: “Ho visto centomila corvi/ Che se ne volavano per il cielo/ Ed era come se formassero una lacrima/ Nell’occhio di un angelo dai capelli neri/ Quella lacrima è caduta tutt’intorno a me/ E ha lavato via le mie colpe/ Adesso è tutto magnifico/ Adesso tutto è a posto”.
La seconda canzone è alla fine dell’ultimo disco, Tree of Forgiveness, e oggi suona come un epitaffio dove l’ironia trionfa sul lutto: “Quando andrò in paradiso metterò su una band di rock’n’roll /…/E mi farò un cocktail con vodka e birra/ E fumerò una sigaretta lunga nove miglia/…/ Aprirò un locale e si chiamerà L’albero del perdono/ e perdonerò tutti quelli che mi hanno ferito/ Magari anche qualche critico/ Uno di quei sifilitici parassiti/ Gli pagherò una pinta di Smithwick’s/ E col mio charme li renderò più simpatici”.
John Prine se ne è andato con stile, il suo stile. E con quella voce che il tempo, e una complicata operazione chirurgica, avevano reso più profonda e commovente.
bellissimo ricordo
Grazie, Claudio. Bellissima era soprattutto la musica di John Prine