tyler the creator rap

 

Le uscite di aprile allineano vecchio e nuovo rap, di minore o maggiore successo. Se Tyler The Creator e Yelawolf sono i più attesi, non mancano altre prove degne di interesse, a partire dall’hardcore dei Death Grips.

 

Death Grips

Death Grips The Power

Difficile seguire la carriera dei Death Grips, tra litigi con la casa discografica, finti scioglimenti, dischi che non si sa se, come o quando escono. E tuttavia, ne sono usciti forse fin troppi: prova ne è l’ultimo doppio  The Powers That B (Harvest Records), il cui primo Niggas On The Moon è apparso lo scorso anno, scaricabile gratuitamente. Scelta rivoluzionario-alternativa fino a un certo punto, perché il disco, anche a risentirlo adesso, è un confuso mix di rumori e samples di Bjork  che difficilmente si ascolterà una seconda volta. Diverso il discorso per la vera novità, Jenny Death, che riporta i Death Grips ai livelli degli esordi, o quasi. In particolar modo verso la fine, dove Centuries Of Damn e On GP ci fanno pensare che la band abbia ancora molto da dire con il suo mix di noise, hardcore punk e rap. Brani geniali in un disco complessivamente molto buono.

5/10 e 7,8/10

Ludacris

Ludacris

Veterano del  Dirty South, assente dalle scene per quasi cinque anni, Ludacris torna con Ludaversal  (Def Jam) e trova un pubblico nostalgico pronto ad accoglierlo. Non c’è niente su questo disco che richiami il mega hit Stand Up  (ma allora la produzione era di Kanye West), però non mancano buoni momenti e soprattutto Luda resta un rapper coi fiocchi (a partire da Ludaversal Intro . Qualche momento eccessivamente banale (a partire dal Viagra Skit), alcune intuizioni non abbastanza sviluppate (Lyrical Healing dura poco più di un minuto ed è un peccato) inficiano un disco che avrebbe potuto dare di più, ma che resta comunque divertente.

7/10

Rapper Big Pooh

Rapper Big Pooh

Una delle sorprese di questi ultimi tempi arriva da Rapper Big Pooh, che nel suo nuovo EP (ma ci sono nove canzoni e dura quanto l’ultimo Earl Sweatshirt), Words Paint Music (Mello Music), propone una formula East Coast che quest’anno, a partire da Joey Badass, sembra tornare di gran moda. Lo fa con piglio sicuro e samples sempreverdi tirati fuori dall’immenso patrimonio soul anni ’60-’70 (si esaurirà mai? e a quel punto?). Ad aiutarlo ci sono nomi sicuri come Apollo Brown (sua la produzione) e Rass Kass. Non venderà come altri nomi più celebrati, ma il suo è hip-hop di pregio.

7,3/10

Tyler, The Creator

Cherry Bomb Tyler the Creator

Ritorna anche Tyler, The Creator con Cherry Bomb (Odd Future) e come sempre più spesso succede regna il caos: il disco è annunciato, poi rinviato, poi disponibile in MP3, ma ancora non si sa la data che poi viene fissata a fine aprile. Che etichette e artisti non riescano nemmeno ad accordarsi su uscite decenti la dice lunga sullo stato dell’industria. Ma veniamo alla musica: Odd Future era esploso pochi anni fa come il collettivo più interessante del nuovo-rap, con la sua vicinanza al punk (nell’attitudine e talvolta anche nella musica) e un hip-hop estremamente introverso. Ormai del collettivo sembra esser rimasto solo il nome, passato all’etichetta, perché nessuno dei vecchi amici figura su questo disco.

Meno dilatato dei precedenti, conferma la personalità e i gusti eterodossi di Tyler: il Tyler che di recente è stato ripreso in lacrime, travolto dall’emozione per la riunione dei N.E.R.D, più che citati nell’iniziale  Deathcamp; a contrasto c’è la cacofonia della title track, che richiama i Black Flag più che l’hip-hop in generale, Pharrell in particolare. Fucking Young/Perfect ritrova le atmosfere dreamy di tanti suoi brani per raccontare la storia dell’innamoramento di Tyler per una ragazza troppo giovane; niente male il testo, anche se su Smuckers Tyler si fa rubare la scena dal solito Kanye West che esordisce con l’impagabile: “Richer than white people with black kids”; la canzone è in effetti sulla celebrità e i suoi effetti, il che la potrebbe dir lunga su Tyler, l’ex outsider che si trova quasi suo malgrado nel mondo delle celebrità. Come reagisce il ragazzo diventato famoso per un video in cui mangia uno scarafaggio? La risposta non è facile e Cherry Bomb lo dimostra: un disco interessante al di là del “puro” rap, a tratti molto bello ma incerto.

7,5/10

Yelawolf

Yelawolf Love Story Album Cover

E passiamo al rap (?) di Yelawolf, scoperta di Eminem, divenuto famoso grazie a mixtapes infuocati. The next great white hope sembrava destinato a incarnare il trash dell’America bianca povera e disperata, non più quella post industriale della Detroit di Eminem, ma quella sudista dei rednecks, con più tatuaggi che canzoni. Su questa immagine lo Yelawolf di Love Story (Slumerican/Shady/Interscope Records) ha deciso di investire a fondo: una canzone si chiama pure Johnny Cash, tanto per esser chiari.

E altrove canta su sottofondo country-blues con risultati variabili: non male su Devil In My Veins, orrendi su American You. Molti fans scrivono che il disco di Yelawolf non è poi diverso da quello di Kendrick Lamar, nel senso  che entrambi prediligono il crossover, ma davvero non hanno capito niente. Kendrick padroneggia i generi che sceglie di interpretare, lì dove Yelawolf è un mediocre (al più) autore country e, quando se lo ricorda (Best Friend, Empty Bottles, Heartbreak, Box Chevy V, Sky’s The Limit: l’episodio migliore), un ottimo rapper; ma non basta inserire un banjo o qualche chitarra per realizzare un disco di crossover. Al peggio Yelawolf ricorda Kid Rock, al meglio Eminem, che resta un modello inarrivabile non solo per le capacità tecniche, ma perché il suo arrivo sulla scena certificava il fatto che i giovani bianchi americani delle periferie guardavano al rap come alla loro musica e lasciavano il country ai genitori; l’operazione di Yelawolf, che vuol rimettere insieme i cocci, è furba, ma non perfettamente riuscita.

6/10

Young Thug

Young Thug Barter 6

Young Thug ha i suoi ammiratori. Il suo Barter 6 (Atlantic/300 Entertainmente) (gioco di parole con Carter 6 e nuovo richiamo alla disputa Lil’Wayne, Cash Money, Birdman: Young Thug sta dalla parte di quest’ultimo) dovrebbe rappresentare il nuovo o l’alternativa a  Wayne, ma se qualche brano non è male (Dream, Numbers, Just Might Be: Young Thug sfodera il suo miglior flow proprio in quest’ultima traccia) i ritmi sempre uguali e l’uso smisurato dell’autotune rendono l’insieme tedioso. Difficile distinguere un brano dall’altro, difficile pure aggiungere altro. Certo ci si sarebbe aspettati di più dal rapper di Danny Glover; con gli stessi contenuti il Lil’ Wayne in forma di qualche anno fa ha creato capolavori, ma qui siamo lontanissimi da quelle vette e allo stato attuale delle cose Young Thug continua a essere poco più di un imitatore.

6,2/10

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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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