Altın Gün 02

Druga Godba: un mondo ideale (della musica e non solo) a Lubiana.

Giunto alla 41ª edizione il festival Druga Godba di Lubiana si conferma come un luogo privilegiato per tutti quei musicisti che in varie parti del mondo stanno sperimentando forme nuove e creative per trasmettere le tradizioni e le culture del proprio paese e aprirle al contemporaneo superando barriere e confini sia mentali che musicali. Anche quest’anno il programma non ha deluso, dodici concerti in tre giorni in cinque sedi diverse: il Kino Šiška, splendida venue per i concerti serali, straordinaria per acustica e visibilità e fornita di un impagabile impianto di aria condizionata, e altre dislocate nella città, ma sempre all’altezza per accoglienza e qualità.

Prima di parlare dei concerti un accenno superficialmente sociologico, il folto pubblico era composto in gran parte da giovani e con una massiccia presenza femminile, segno di una politica culturale e musicale che è riuscita a creare interesse e curiosità verso una proposta non convenzionale e lontana dal mainstream, e l’aver constatato l’esistenza di numerose sale per la musica, anche risalenti all’epoca di Tito, ci conferma che qui la cultura musicale è di casa.

La prima giornata del Druga Godba

Un ritardo di cinque minuti, causa difficoltà di parcheggio, ci ha impedito di seguire il concerto del duo sperimentale barcellonese Los Sara Fontán. Ci siamo così spostati al Kino Šiška per una serata che ci farà viaggiare dall’India dei Saagara alla Turchia degli Altin Gün, con nel mezzo l’indie rock sloveno dei Moving As A Giant, un programma al solito eclettico che ha come filo conduttore la contaminazione e la sperimentazione. E proprio qui sta il bello, seguire la musica senza barriere e confini e lasciarsi trasportare dalle differenti emozioni. Ha ragione il jazzista Waclaw Zimpel quando dice che la musica dei Saagara più che per la meditazione è adatta al ballo. E così è stato per tutta la durata del concerto. I quattro musicisti – con Zimpel all’elettronica e al clarinetto c’erano i tre indiani della band alle percussioni e al violino – pur non abbandonando l’aspetto spirituale, mistico della musica carnatica hanno dato vita a uno spettacolo dal groove potente e trascinante che raggiunge il climax durante il tradizionale scat indiano. Zimpel è maestro nel maneggiare l’elettronica e i suoi coloriti interventi jazz al clarinetto completano una fusione perfettamente riuscita fra due tradizioni apparentemente lontane come quella occidentale e quella indiana. Il pubblico non ha smesso un minuto di ballare.

Saagara 01
Saagara

Si cambia completamente atmosfera con i  Moving As A Giant il cui debutto discografico è stato salutato come il migliore del paese da anni. Sono un trio composto dai fratelli Kramberger, uno alla batteria, l’altro basso e synth e dalla cantante e chitarrista Bojana Pejanović, una frontman dalla spiccata personalità e dalla voce scura e potente, la cui tenebrosa profondità è accentuata da riverberi. atmosfere cupe, paesaggi sonori desolati, influenze dark e noise. Un basso corposo e inquietante, una chitarra che vomita distorsioni hanno dato vita a un live che è andato via via crescendo con grandi applausi alla fulva Bojana visibilmente emozionata.

Moving As A Giant 01
Moving As A Giant

A chiudere la serata quello che certamente era il nome di spicco della rassegna, la band turco-olandese degli Altin Gün, uno dei migliori live act in circolazione. Li avevamo già visti sei anni fa ed eravamo molto curiosi di sentirli senza la cantante Merve Daşdemir. Ebbene, anche se si sente la mancanza  dell’alternarsi delle due voci, il concerto è stato davvero meraviglioso. Il funk anatolico della band ha infiammato per originalità, creatività e suggestione: perfetto affiatamentamente nel dialogo di saz elettrico e chitarra e una ritmica di notevolissimo impatto grazie anche alla strabiliante crescita del bassista Jasper Verhulst. Il frontman Erdinç Ecevit sta ormai attuando la sua trasformazione in Bariş Manço e ha acquisito un carisma non indifferente. Inutile dire che tutta la sala ha ballato (e cantato) incessantemente al loro suono sexy e psichedelico. I diciassette brani in scaletta hanno attraversato tutta la carriera della band. Momenti di spicco Vay Dünya, Leylim Ley, Leyla, la superba Süpürgesi Yoncadan ma sono davvero gusti personali.

Altın Gün 01
Altın Gün

Seconda giornata di musica a Lubiana

La seconda giornata inizia alla Vodnikova Domaçia con il trio femminile polacco Sutari, il loro è un avant folk che si rifà alle tradizioni sia del proprio paese che lituane con un repertorio di brani tradizionali e originali. Una varia strumentazione con prevalenza di archi, il gioco polifonico delle tre voci e un pizzico di elettronica sono le caratteristiche di questo affascinante trio a cui, nella seconda parte; ha visto si sono uniti Samo Kutin e Ana Kravanja dei Širom. L’harmonium e poi la ghironda del primo e il violino della seconda hanno accentuato il lato fiabesco, misterioso, fuori dal tempo della proposta musicale, fino all’ultimo splendido brano strumentale che ha esaltato l’inedita collaborazione.

Sutari feat. Ana Kravanja and Samo Kutin 03
Sutari

Poi di nuovo al Kino Šiška per una serata all’insegna dell’Africa. Quella mediterranea  degli Aïta Mon Amour, duo composto dalla cantante e rapper marocchina Widad Mjama e dal tunisino Khalil Epi all’elettronica e all’oud elettrico, e quella subsahariana dei maliani Songhoy Blues. Musica diversa, ma un comune spirito battagliero e ribelle, in entrambi i casi un’Africa viva e dinamica, fiera delle proprie radici e aperta al mondo, culturalmente e musicalmente all’avanguardia.

Non conoscevamo gli Aïta Mon Amour e la sorpresa è stata davvero esaltante grazie a uno show di inaudita potenza e forza emotiva. La loro musica si ispira agli aïta, canti popolari eseguiti dalle cheikhats in occasione delle feste, che negli arrangiamenti della band, grazie all’impatto dell’elettronica, dell’oud elettrificato e del canto, diventano una rivendicazione di libertà, di indipendenza, una musica popolare che diventa sperimentazione, voglia di andare oltre le barriere e i confini. La kefiah indossata da Epi, l’appello Free Palestine e le introduzioni per spiegare le varie canzoni da parte di Mjama hanno fatto il resto scatenando il pubblico con una Radouni che ha fatto cantare e ballare tutti.

Aïta Mon Amour 03
Aïta Mon Amour

Poco tempo per rifiatare ed ecco irrompere sul palco i quattro Songhoy Blues. Grande presenza scenica grazie al dinoccolato e istrionico cantante Boubacar Coulibaly e a musicisti che fanno dell’energia e del ritmo la loro firma e in cui spicca il talento chitarristico di Garba Touré, con assoli che stanno fra Ali farka Touré e Jimi Hendrix. Se il loro ultimo The Heritage aveva svoltato verso il suono acustico sul palco hanno invece dato vita a un travolgente punk blues elettrico  che giustifica pienamente la nomea di “Clash africani”. Non a caso la setlist comprendeva soprattutto brani dai primi album.

Songhoy Blues 03
Songhoy Blues

Terza e ultima giornata

L’ultimo giorno si apre con un’altra bella sorpresa, le norvegesi Mari Kvien Brunvoll e Stein Urheim col trio avantjazz dei Moskus. I loro dischi sono su Hubro, il che è una garanzia, e lo spettacolo si è svolto in una bella sala del Cankarjev Dom. Atmosfere nordiche nel canto e un approccio libero e creativo nell’esecuzione che spaziava fra jazz, improvvisazione, gioiosità folk, influenze arabe, indie, classiche. I cinque  si sono esibiti in vari strumenti e alternati al canto dando vita a un concerto in cui le emozioni fluivano con grande naturalezza.

 

Mari Kvien Brunvoll & Stein Urheim with Moskus 02
Mari Kvien Brunvoll & Stein Urheim with Moskus

É stata poi la volta del quartetto sloveno Nika Prusnik & bratje Poljanec: un folk che si rifà alla tradizione, ma i cui arrangiamenti  creano un’atmosfera sospesa e originale. I fratelli Poljanec traggono suoni inediti e minimali dai loro strumenti e il risultato è una musica meditativa, tendente alla malinconia e inframmezzata da passi recitati, il che penalizza chi non comprende la lingua.

Nika Prusnik 02
Nika Prusnik

Ultimo appuntamento al Kino per la serata conclusiva. Si parte con la svizzera-algerina Amina Cadelli, alias Fléche Love, che si esibisce in versione acustica accompagnata dal violoncello di Valentin Mussou e dalla chitarra e clarinetto di Jaafar Aggiouri. Subito dimostra grande padronanza espressiva in una performance in cui il canto e il suo corpo, danza, mimica, tatuaggi, sono un tutt’uno. Una serie di canzoni dov dolore, ribellione, speranza si fondono per creare un percorso musicale intenso ed eclettico che va dal fado alla musica pop araba, al soul, all’hip hop, al jazz. La musica è per lei un percorso terapeutico per sanare le ferite di un’infanzia fatta di abusi, le sue canzoni esprimono la lotta alle discriminazioni e in difesa delle minoranze. Un’altra bella sorpresa.

Flèche Love 01
Flèche Love

A chiudere un’altra forte e gagliarda presenza femminile, la somala Sahra Halgan, la cui vita travagliata di combattente per l’indipendenza della sua regione natia, il Somaliland, l’ha portata a lunghi periodi di esilio in Francia. Solo superati i cinquant’anni ha potuto registrare tre album, l’ultimo Hiddo Dhwar nel 2024. Sul palco è accompagnata da tre musicisti francesi, organo, chitarra e batteria, ma tutti con la sciarpa del Somaliland. Si è trattato di  uno show pirotecnico che ha coinvolto il pubblico in quasi due ore di concerto in cui la Halgan ha davvero dato tutta se stessa. Anche qui la contaminazione fra tradizione e innovazione ha giocato il ruolo portante, ritmi desert blues, tastiere ethiojazz, potenti riff di chitarra, voce calda e brillante, percussioni tribali, psichedelia hanno creato una trance inebriante che ha costretto tutti a non stare fermi un momento.

Sahra Halgan
Sahra Halgan

Druga Godba: musica per un ideale di pace e tolleranza

Bilancio più che positivo di un’esperienza musicale e culturale che ci ha fatto viaggiare fra modi diversi di fare musica oggi aldilà di qualunque confine. Potremmo definire retrofuturismo l’elemento che accomuna gli artisti in scena al Druga Godba per il loro sperimentare e guardare al futuro mantenendo un rappoprto vitale e creativo con le culture e le musiche di appartenenza. Per tre giorni ci è sembrato di vivere in uno spazio ideale, dove popoli e culture diverse si sono incontrati condividendo un mondo che ama la pace, la libertà, la vita contro le correnti di morte che sembrano prevalere in molti governanti. Ringraziamo tutto lo staff del festival e il suo direttore Bogdan Benigar per l’eccellente qualità del festival e per la disponibilità e gentilezza della sua ospitalità. Appuntamento all’anno prossimo.

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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

Di Ignazio Gulotta

Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

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