Grace-Jones

19 giugno: Grace Jones chiude il Meltdown 2022

La 27a edizione del più longevo festival musicale del Regno Unito curato da artisti, il Meltdown, era stato affidato per il 2020 alla regia di Grace Jones. Con la line-up già pronta, la stessa Grace Jones prevista in chiusura, i nostri biglietti acquistati, tutto si è congelato per due anni, fino a questo giugno, quando, con una programmazione un po’ modificata, il festival si è potuto svolgere. Abbiamo quindi seguito la serata conclusiva, completamente sold-out in pochi minuti. D’altra parte, nonostante una produzione discografica recente inesistente (l’ultimo disco è l’eccellente Hurricane del 2008), lo status iconico di Grace Jones non smette di affascinare. Lo si avverte anche nel pre-concerto, sulle terrazze del Royal Festival Hall, dove l’atmosfera è di attesa allegra e frizzante e il pubblico è, almeno in parte, abbigliato per l’occasione.

Partenza con il botto

La sala è piena poco prima delle nove, quando le luci si spengono e poi si riaccendono sulle note di This Is, rivelando nella sorpresa generale una Grace Jones che sfiora il soffitto, sollevata come in trono su un abito immenso. L’entrata è spettacolare a dir poco. Resta così sospesa come per magia sino alla fine del pezzo, quando l’abito, una immensa gonna che riprende i motivi di Keith Haring e allude alle loro collaborazioni negli anni ‘80, si ripiega in immense volte sul pavimento e lei ci affonda dentro. Come per ogni canzone, sparisce fra un pezzo e l’altro per rigorosi cambi d’abito, pur continuando a parlare al pubblico, improvvisando al di fuori di qualsiasi copione, al limite del dadaismo.

Grace

Le canzoni più iconiche, ma anche una novità

Si prosegue con Private Life, che ormai si stenta a ricordare come cover dei Pretenders. La setlist allinea tutti i suoi maggiori successi, ricordando che dai primi esordi come star della disco nella seconda metà degli anni 70 e per tutti gli 80, Grace Jones ha segnato la musica contemporanea. Demolition Man, I’ve Done It Again, My Jamaican Guy sono eseguite da una band che include coristi e strumentisti, fra i quali spiccano suo figlio Paulo, il suo produttore Ivor Guest e soprattutto il grande Barry Reynolds (compositore di quasi tutti i brani più celebri e belli di Marianne Faithfull).

Poi arriva una canzone inedita molto promettente: si intitola War No More; alla fine dello show Ivor Guest annuncia che l’uscita di un nuovo disco è imminente. Impossibile non commuoversi con I’ve Seen That Face Before (Libertango) e con la personalissima, nel senso biografico, Williams’ Blood, da Hurricane. Poi arriva l’autodedica di Amazing Grace e l’apice del concerto, almeno dal punto di vista musicale: Love Is the Drug è fantastica, e non scherza anche come spettacolo, con la bombetta di Grace Jones illuminata da un raggio di luce cangiante. Le luci e gli abiti sono di grande qualità e classe, parte integrante dello spettacolo.

Grace Jones scende fra il pubblico del Meltdown

Pull Up to the Bumper è sempre il momento della discesa fra la folla adorante e qui non fa eccezione: coperta da miriadi di coriandoli, a cavallo di uno dei bouncers, attraversa i corridoi gremiti. Tra un bicchiere di vino e uno spliff assolutamente necessari, arriva all’inevitabile tripudio finale, con Slave to the Rhythm in versione lunghissima e l’immancabile hula hoop.

Grace Jones Meltdown

Hurricane sarebbe l’encore, ma non c’è reale discontinuità nello spettacolo. Qualche parola se ne va nel vento potente che richiama l’uragano del titolo e che le proietta un abito lunghissimo attraverso tutto il palco. Idem per La Vie en Rose cantata a cappella: non tutte le parole le tornano in mente, ma cosa importa? A 74 anni con lo spirito della party girl degli anni 70, Grace Jones in chiusura del Meltdown è davvero un regalo per tutti.

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Amici dall'adolescenza, legati dalla passione per David Bowie e, più in generale, per la musica. Adesso la condividiamo anche su TomTomRock.

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