@ Mathias Marchioni
I Placebo a Milano: un concerto perfetto e una band in stato di grazia immersa nel presente.
I Placebo sbarcano a Milano per l’unica data italiana del tour che segue il loro ultimo e acclamatissimo album Never Let Me Go. Il concerto è semplicemente perfetto in ogni dettaglio, un meritato traguardo artistico per una band che ha da poco superato il quarto di secolo di attività. Mancano dal 2016, quando ad aprire il concerto milanese non c’era stato un gruppo di spalla, ma i gong del massaggiatore dei vip Walter Zanca.
Sono le 21 e sul grande schermo appare la scritta “sei qui e ora, goditi il concerto e non passare il tempo a scattare foto”. E proprio sul qui e ora sembrano concentrati in quest’occasione Brian Molko e Stefan Olsdal. I Placebo di oggi non hanno problemi col passato del quale non rinnegano nulla, comprese sonorità conosciute e sempre piacevoli, ma l’attenzione è totalmente rivolta all’attualità dell’ultimo album Never Let Me Go, uscito dopo nove anni di silenzio discografico.

I Placebo dal vivo: non solo i classici del passato
Si parte quindi alla grande con Forever Chemicals e Beautiful James e subito la platea si infiamma: difficile non esaltarsi di fronte a una tale padronanza del mestiere. Segue Scene Of The Crime (da Loud Like Love 2013) per tornare subito all’oggi. Nella prima parte del concerto viene suonato quasi tutto Never Let Me Go (tralasciati solo The Prodigal e This What You Wanted). Dal vivo le nuove canzoni confermano un potenziale rock non da poco che sembrava leggermente appannato nei dischi precedenti.
A metà concerto, sulle note di Too Many Friends, entra in scena un pianoforte bianco a coda e Olsdal si siede alla tastiera per proporre un paio di brani riverniciati con charme scatenando un tripudio di applausi e mani alzate. Si prosegue con For What It’s Worth, Slave To The Wage e un’altra manciata di momenti più nostalgici apprezzatissimi da un pubblico totalmente eterogeneo: i fan delle origini, diventati genitori, sono alla “festa” in formato famiglia.

Un gran finale di concerto
Molko e Olsdal, la cui intesa è al solito perfetta, sanno come amministrare gli ultimi minuti dell’esibizione. Il bis è dedicato alla cover di Shout – la scelta non è casuale visto il messaggio politico veicolato dalla hit dei Tears for Fears -, alla splendida Fix Yourself e alla sempiterna Running Up That Hill (A Deal With God). Dopo un’ora e quaranta sua eccellenza Molko si inchina mentre Olsdal scende, visibilmente soddisfatto, tra il pubblico delle prime file sfoderando un’attitudine amichevole priva delle bizze da star che si potrebbe tranquillamente permettere.
Grande spettacolo, quindi, impreziosito da una sontuosa ed efficace scenografia composta da una serie di schermi mobili con giochi di luci adeguati a ogni brano. Last but not least una menzione d’onore va senz’altro ai quattro musicisti che accompagnano i nostri eroi sul palco e che non sfigurano certo quanto a professionalità: il loro contributo alla riuscita finale è fondamentale.

Detto che non ci sono rimpianti per la mancanza di Without You I’m Nothing, Pure Morning o Every You Every Me, resta un’ultima considerazione: l’assenza di telefonini ha rinforzato la connessione tra artisti e pubblico e i Placebo ci lasciano soltanto con la voglia di rivederli al più presto.