rolling stones, zurigo 20.09.2017

The Rolling Stones – No Filter Tour @ Letzigrund (Zurigo, 20.09.2017).

rolling stones zurigo 20.09.2017

Non capita tutti i giorni di andare a Zurigo a vedere un concerto di un gruppo storico. Ma trattandosi DEL gruppo storico, l’unico rimasto in piedi dopo più di cinquant’anni di attività, si può anche fare lo sforzo di varcare la frontiera, acquistare il bollo autostradale di 40 euro, rischiare una multa a ogni curva, pagare un caffè due euro e cinquanta centesimi più 15 euro per un hamburger al baracchino dello stadio.

Si può fare, se il gruppo che vai a sentire sono i Rolling Stones. Ma il parcheggio però no, quello non lo vogliamo pagare. Molliamo dunque la macchina in un paio di metri liberi da strisce e ce ne battiamo l’anima, che poi fa tanto rock ‘n’roll, e ci dirigiamo verso lo stadio. Confluiamo presto nella folla di nonne Abelarde e vecchi rockettari tatuati dalle gambe secche e il ventre prominente, tutti a sfoggiare con orgoglio magliette dei tour passati e bandane lise. Fa strano pensare che siano svizzeri, così conciati.

Rolling Stones a Zurigo: rock’n’roll ed efficienza

Le code agli ingressi scorrono veloci, oltre ai vecchi ci sono ragazzi giovanissimi, coppie di mezza età, qualche bambino con le cuffie insonorizzanti appese alla cintola. Noi modestamente, grazie allo sgancio di mezzo stipendio, abbiamo dei posti pazzeschi di fianco al palco. Si sente da dio e si vede da falco, denaro speso bene. Lo stadio è gremito, ma il silenzio e la compostezza del pubblico fanno una certa impressione.

rolling stones, zurigo 20.09.2017

Alle 19 arrivano sul palco gli Struts, il gruppetto di ventenni inglesi che da qualche anno apre i concerti degli Stones. Dopo un’oretta di canzoncine mediocri, plagio degli Stones stessi, dei Queen, degli Aerosmith, degli Oasis e abbiamo già perso il conto di tutte le altre scopiazzature varie, vengono spazzati via dai quattro nonni feroci che subito si impongono sul palco come fossimo nel 1972.

Jagger emerge dalla smoke machine con indosso una deliziosa giacchetta nera con le paillettes blu. Dietro di lui Ronnie Wood, stralunato come sempre e dall’espressione solita del what the fuck am I doing here, a suo agio con la tinta mogano fresca e il blazer fucsia, con ai piedi le scarpe da tennis glitterate. Alla batteria, con la faccia di chi ha appena tenuto un sermone, il sempiterno Charlie Watts indossa una camicia verde bottiglia abbottonata fino al pomo d’Adamo. Il cameraman, per la gioia dei novelli mods del Canton Ticino, indugia non poco sul calzino crema e le Oxford in vitello nero.

Keith Richards è il “messia” dei Rolling Stones

E poi, accompagnato da un boato che ha fatto piangere anche gli addetti alla raccolta dei mozziconi di sigaretta e le dispensatrici di caramelle Ricola, Keith Richards avanza sul palco in palandrana nera e bandana multicolore a prendersi ventate d’amore e urla di passione come Gesù all’ingresso di Gerusalemme. Lui ride, quasi intimidito, e si capisce che sta godendo come un riccio.

Subito attaccano con Sympathy For  The Devil, un tappeto di percussioni e la voce sempre squillante di un Jagger tarantolato. È l’inizio di un sabba.

Appare evidente fin da subito che i nostri quattro si stiano divertendo un mondo. La loro energia contagiosa dilaga coinvolgendo il pacato pubblico svizzero di consulenti finanziari, broker assicurativi, farmaciste in pensione, pluripremiati cioccolatai e e orologiai di precisione.

Nonostante l’età gli Stones sono ancora belli energici…

Ci aspettavamo tanta energia, tanta tecnica e nuova creatività da questi quattro mostri del rock ‘n roll? No, e dobbiamo presto ricrederci. (Anche se il recente album Blue And Lonesome li mostrava assai tonici.) Dopo aver salutato in francese gli avventori ginevrini e in italiano quelli del Canton Ticino, Mick annuncia la canzone votata dal pubblico sull’app per la quale ringrazia con una smorfia il suo autore. Like a Rolling Stone, e tante grazie a quel musone di Bob Dylan.

Arrangiamento arterioso e ritmo incalzante, una versione nettamente superiore all’originale del re dei Grigioni che fa venire le lacrime agli occhi a Britta Keller, imprenditrice agricola delle ciliegie di Zug di anni 77 con un passato torbidamente allegro nella Soho del ’69 a vendere collant.

… e riescono a emozionare

E intanto Keith non ha ancora fumato neanche una sigaretta. Ciò ci preoccupa ma solo per poco, impegnati come siamo a urlare a squarciagola ‘Youcan’talwaysgetwhatyouwant’. Siamo talmente contenti che ancora non sia venuto un enfisema a nessun membro del gruppo che quasi ci abbracciamo tutti e trentamila.

E poi, il miracolo. Attaccano le prime note di Paint It Black, che sembrerebbe una canzonetta orecchiabile degli anni sessanta. Ma loro la mordono con rabbia, accelerano fino a trasformarla in un furore sonoro dove le chitarre graffianti divorano il sitar originale e lo risputano distorto e distrutto da una mandria di cavalli lanciati verso il precipizio. E non sto esagerando. Restiamo svuotati, annichiliti dal vortice nero che ci ha inghiottiti tutti.

Porca troia, e no che non ce lo aspettavamo. Avevamo scommesso che non fossero più all’altezza, li immaginavamo impegnati a far saltare i nipotini sulle ginocchia e a bere il tè con i consuoceri, The Rolling Scones, e invece… Per darci una calmata, sapientemente torniamo al caro vecchio blues con Honky Tonk Women con cui ci rilassiamo e riacquistiamo un battito cardiaco nella norma.

“Keef” al proscenio

Ma son pur sempre degli ultra settantenni, e Mick che non si è risparmiato in balletti, corse, salti e smorfie va a cambiarsi d’abito e a bersi una centrifuga di zenzero e spirulina con un tocco di papaya antiossidante, per lasciare la scena al grande, the one and only, Keef.

Raggiunge il microfono ridendo mentre tutti urliamo al miracolo perché ha finalmente acceso una sigaretta.

– Good evening, ladies and gentlemen.

Ci saluta con la voce impastata dai troppi denti e noi tutti lo abbracciamo urlanti. Chitarra in mano, volto solcato da un reticolo di eccessi, occhi dolci di chi è felice come non mai, canta ‘Happy’ con voce quasi adolescenziale e un paio di stecche nei toni alti che figurati, non gliele perdoni?

rolling stones, zurigo 20.09.2017

Per fortuna torna presto Brenda in bomberino rosso e riprende possesso del palco con rinnovata energia e voglia di spaccare tutto. Midnight Rambler  fa scendere dagli spalti anche quelli con flebo e bombole d’ossigeno per ballare come indemoniati. Con Miss You i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi si raddrizzano e i morti tornano per ascoltare un’ultima volta il lungo assolo del bassista Darryl Jones, un pezzo da novanta e non solo per il girovita.

Parata di classici per il gran finale

Chiudono il concerto le celeberrime Brown Sugar e Satisfaction facendo quasi venire giù la struttura in legno dello stadio. A mani scorticate e ugole infiammate li richiamiamo sul palco per il bis e ci regalano una versione incredibile di Gimme Shelter. E’ una bomba struggente di energia da far accapponare la pelle, grazie anche all’incredibile voce e interpretazione della corista Sasha Allen. Il suo assolo in mezzo alla folla è talmente struggente da far venir voglia di abbattere muri e confini, salvare bambini e risanare i conti del trasporto pubblico romano.

Sasha, che gran donna, avrei voluto ammazzarla per quella voce che io non ho.

Ma per non andarcene tristi, ecco Jumping Jack Flash riportarci a ballare e ridere e saltare che son passate due ore e mezza, e manco ce ne siamo accorti. È successo veramente? È stato solo un sogno di una sera di fine estate? Il conto della carta di credito mi dice che no, non era un sogno.

I Rolling Stones sono ancora vivi, forse più in forma che mai, sicuramente fra i pochi a non avere messo su un etto con l’arrivo dell’età senile. Peseranno 100 chili in quattro, The Rolling Bones. Ma se dovessero fare un altro tour noi  saremo ancora lì. A ballare e a urlare come quei ragazzini degli anni sessanta che volevano cambiare il mondo.

Sì, in fondo it’s only rock ‘n roll.

But we like it.

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Capisce pochissimo di musica, va ai concerti solo per far felice suo marito ma alla fine si entusiasma facilmente. Esperta di pendolarismo, scrive storie di viaggi e filovie. Vive e lavora a Milano.

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