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di Marina Montesano

Sono un quartetto di Cavan, Irlanda; nessuno di loro ha ancora 18 anni; hanno registrato due sole composizioni proprie e per il resto suonano cover rhythm and blues; nel Regno Unito tutti parlano di loro; Paul Weller, Noel Gallagher, Dave Grohl, Roger Daltrey, Elton John si dichiarano fans; hanno suonato a Glastonbury pochi giorni fa; apriranno il prossimo tour degli Arctic Monkeys. Si sa, il radar della stampa inglese è sempre pronto a captare giovani band da spingere, magari anche con qualche eccesso, e quindi una certa curiosità porta a chiedersi cosa possano avere questi quattro ragazzini più dei molti altri che sicuramente affollano con la propria musica pub, cantine e scuole UK. Così, quando alle 21 salgono sul palco, la prima cosa che si nota è l’attitudine: vestiti in perfetto stile sixties mod e assolutamente padroni della situazione, non si perdono in chiacchiere e attaccano un devastante set misto di (pochi) pezzi propri (Angel’s Eyes, Blue Collar Jane e Hometown Girl) e soprattutto di cover attinte al garage e al rock’n’roll anni ’50-’60: bellissima la loro rivisitazione del classico di Bo Diddley You Can’t Judge A Book By The Cover, ma colpiscono anche l’iniziale Mistery Man, CC Rider, I’m A Hog For You Baby. Il volume del suono, più che a Yardbirds e Pretty Things, pure una chiara influenza, rinvia ai Dr. Feelgood, band a più riprese citata dai quattro Strypes come una delle favorite.

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Curioso pensare che pochi mesi fa avevo assistito, proprio al Point Ephémère, al concerto di un’altra band ‘nostalgica’: i Foxygen, che hanno già inciso un disco d’esordio di canzoni originali, per giunta acclamatissimo, ma che suonavano come alla festa di compleanno di un amico (cfr. https://www.tomtomrock.it/concerti/64-foxygen-paris-point-ephemere-2-febbraio-2013.html). Con gli Strypes viaggiamo in territori molto diversi, nel senso che la giovanissima band possiede un’immagine di sé che è già proiettata verso la gloria: lo si vede, come detto, dall’attitudine; ma va anche sottolineato che ciò non sarebbe possibile se gli Strypes non suonassero con una tecnica che farebbe invidia a molti professionisti della musica ben più anziani di loro; in particolar modo il chitarrista Josh McClorey, che ha la faccia di Justin Bieber ma suona come Jimmy Page.

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Quasi a mostrare quanto sono bravi, alla fine si scambiano gli strumenti: Mc Clorey prende il basso, il cantante e armonicista Ross Farrelly la chitarra, il bassista Pete O’Hanlon passa all’armonica e solo Evan Walsh resta alla sua batteria. Suonano un’ora circa, ma con questa energia non è richiesto altro; il pubblico sembra soddisfatto e divertito; pubblico a sua volta peculiare, composto com’è di molti fotografi, di un paio di file di coetanee probabilmente attratte dall’aspetto carino dei quattro Strypes, e di una larga parte del pubblico che tende ad avere l’età dei loro genitori, ma che va giustamente in estasi nel sentire la propria musica preferita suonata con tanto furore. Certo, per il momento gli Strypes rimangono soprattutto una cover band; critica alla quale hanno risposto che “anche i Rolling Stones suonavano cover”. Vedremo se in futuro sapranno scrivere la loro Satisfaction; ma certo per il momento si sono guadagnati il diritto a far parlare di sé.

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The Strypes – Blue Collar Jane (live Point FMR)

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