Chissà se fu una bufala (non se ne trova traccia in rete) o una costruzione mentale a posteriori, eppure chi scrive ricorda come parecchi anni fa Cass McCombs avesse richiesto di venire intervistato esclusivamente sotto forma di domande scritte a mano e inviate tramite fax.
Un personaggio non facile
La cosa non è del tutto improbabile visto che il cantautore californiano è noto come personaggio spigoloso, difficile da rintracciare (da circa dieci anni vive pressoché sempre ‘on the road’) e quasi impossibile da fotografare.
Oggi le cose pare stiano cambiando: un contratto con la prestigiosa Anti- (l’etichetta di Tom Waits), una ciarliera intervista con Uncut, un disco ‘commerciale’ come non mai e persino un ritratto fotografico a invaderne la copertina. In realtà stiamo parlando di un album che si intitola ‘amore con la rogna’ e dove spicca una canzone dedicata a una ‘ragazza rancida’; quindi di vera normalizzazione (specie nei temi trattati, legati a vari tipi di disagio o ai modi per uscirne) non è che si possa proprio parlare.
Tuttavia quella che si ascolta è musica avvolgente, elegante, fluida e persino adatta a fare da sottofondo a situazioni a lume di candela (va saltata a pié pari giusto Rancid Girl, spiacevole nel suo andamento ossessivo). Come aveva fatto a suo tempo Sam Beam/ Iron & Wine, anche McCombs si culla in un suono patinato anni ’70/’80 fra soul dal groove appena accennato e sax languidi su cui innestare ove possibile l’ormai classico falsetto.
Una nuova sicurezza per McCombs
Bisogna essere ben sicuri di sé per infilare una sequenza di pezzi così strutturati; ad esempio si corre il rischio che la suddetta situazione a lume di candela finisca fra gli sbadigli anziché in altri più auspicabili modi. Non è forse un caso, dunque, che da metà programma in poi i suoni prendano una piega più oscura, più coinvolgente e probabilmente più autentica.
Il risultato complessivo è quello di un disco bello, ben pensato nei suoni (produce Rob Schnapf che fu al fianco anche di Elliott Smith) e scritto da un compositore bravo e intelligente. Ecco, forse Cass McCombs è troppo intelligente e troppo attento a sé per lasciarsi davvero andare. Lo fa, o almeno così sembra, solo nella conclusiva I’m A Shoe, momento migliore del disco nella sua dimensione desolata, indifesa e senza schermi protettivi luccicanti.
Mandargli un fax per consigliargli di proseguire su questa via?
7/10