When I’m Called è il quinto album del folklorista atipico Jake Xerxes Fussell.
Per quanto possa sembrare un ossimoro, si può ben dire che Jake Xerses Fussell è un visionario ben organizzato. I pezzi che il musicista della North Carolina suona e canta sono infatti il prodotto di un’accurata ricerca basata su fonti a stampa e fonografiche, un lavoro da puntiglioso folklorista sulle orme del padre e del maestro Art Rosenbaum. Le premesse farebbero immaginare esiti ineccepibilmente formali e poco emozionanti, più da ragazzo secchione che da uomo delle radici. Poi però l’ascolto dei suoi dischi fa capire che il robusto signore con il cappellino da baseball non si limita a sagomare i materiali a disposizione, ma li trasfigura proprio. E bisogna aggiungere che questa trasfigurazione non si attua con modalità spettacolari o di pronta assimilazione, piuttosto procede quasi sottotraccia, preferendo persuadere anziché stupire. È un processo perfezionato disco dopo disco fino ad arrivare a Good and Green Again del 2022 e a questo When I’m Called.
Canzoni e ‘spirito’ di When I’m Called
Qualche volta Fussell cammina a fianco dei personaggi delle sue canzoni anche se sono vissuti secoli fa: le coppie di amanti di Feeing Day e One Morning in May o la donna che si strugge per il compagno lontano di Gone to Hilo. Altrove sembra invece immedesimarsi completamente negli irrequieti protagonisti di canzoni di viaggio come Going to Georgia o l’emblematica, fin dal titolo, Leaving Here, Don’t Know Where I’m Going.
Un paio di episodi si avvicinano ai nostri giorni e sono due colpi di genio: il primo è Andy, serissima cover di un improbabile brano di ‘Maestro’ Gaxiola, il bizzarro cowboy artista che, nella canzone quantomento, si reca a New York per dare una lezione ad Andy Warhol. “Sto arrivando lì, Andy, per portarti via la stella/ Pensi di essere lo sceriffo, ma io so chi sei davvero” . Il secondo è rappresentato dalla title-track, ispirata da un breve testo scritto da un anonimo studente e trasformato in uno strano, evocativo gospel: “Risponderò quando sarò chiamato/ Non ballerò la breakdance nelle aule/ Non riderò quando il professore chiamerà il mio nome”.
A tanta persuasività contribuiscono, come nel disco precedente, gli arrangiamenti dell’inglese-a-Chicago James Elkington che sa sempre dove mettere archi, fiati, pedal steel e voci femminili. Ma attenzione anche a una scelta in apparenza strana come la chitarra groovy e un po’ da desert blues di When I’m Called.
E se adesso continuate a dire che il folk è una cosa rigida e conservatrice…
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