E’ vero, qualcuno potrebbe sostenere che il disco più atteso era quello dei Radiohead, ma i quattro anni che ci separano da Channel Orange sono stati lunghi ed è ormai dalla scorsa estate che se ne aspettava il seguito; senza contare che Frank Ocean è un artista all’inizio della sua carriera e si muove in un genere o fra generi musicali che oggi ci paiono in continua evoluzione. Sembra insomma incarnare il futuro, lì dove i Radiohead (i fans non ce ne vogliano) non fanno che confermare il loro status di star dell’indie-quasi-mainstream.
In più, dall’inizio di agosto questo disco è sembrato sempre sul punto di uscire, soprattutto da quando Ocean ha creato una pagina web misteriosa, nella quale lo si vede in un video (di Tom Sachs) all’opera per costruire una scala “to heaven”, che dal 19 si è anche animata di musica: Endless è il titolo di questo visual album, accompagnato da allusioni ad altra musica in arrivo.
Frank Ocean sorprende con Endless
Di fronte al carattere fortemente sperimentale di questa prima uscita tutti sono rimasti in attesa: Boys Don’t Cry – titolo di lavorazione del disco –, si diceva, uscirà a breve e avrà un carattere “pop” ben diverso. Intanto, però, ascoltiamo Endless: che si apre e si chiude con la voce dell’artista tedesco Wolfang Tillmans (alle prese con la lettura di pubblicità di app/smartphone su basi di elettronica). E include, pure in apertura, la cover (già sentita) di At Your Best (You Are Love) degli Isley Brothers, filtrata attraverso l’interpretazione di Aaliyah.
E prosegue con una sequenza di brani che rivelano la natura di Endless: Mine, Unity, Comme des Garçons sono tanto ineccepibili melodicamente quanto costruite come per evitare la forma-canzone tradizionale; in questo i modelli potrebbero essere, ovviamente in modi differenti, Kendrick Lamar e James Blake (quest’ultimo lo troviamo con Jonny Greenwood in At Your Best, ma la cui voce è utilizzata anche in Florida e Deathwish), ma Frank Ocean va oltre, a costo di far sembra Endless una sorta di opera non finita, quasi un demo.
L’ascolto non richiede pazienza, perché come detto sotto il profilo melodico è splendido, quanto una immersione totale nelle sue atmosfere. Scoprendo magari che le canzoni non mancano: Slide On Me dai toni reggae (che tornano su Higgs) un po’ come i Fugees, citati peraltro, vede una performance vocale notevole di Ocean; al pari di Rushes, divisa in due sezioni distinte, la seconda ritmica; ma anche le già citate Mine, Unity, Comme des Garçons sono bellissime.
E poi Frank Ocean pubblica Blonde
Dopo Endless, ecco il video di Nikes (al momento disponibile solo su Apple Music) ad annunciare l’uscita successiva: che ha perso per strada il titolo di lavorazione e si chiama ora Blond (ma Apple Music lo dà come Blonde). Quanti attendevano dalla seconda proposta un Frank Ocean versione pop, magari simile a quanto ascoltato con Nostalgia, Ultra e Channel Orange, si saranno ormai ricreduti: sebbene Blond contenga un maggior numero di canzoni strutturate rispetto a Endless, ha persino meno beats e non differisce nel tono minimalista, avvolgente.
Sorprendentemente, è un disco di chitarre: non di riff, è chiaro, ma l’onnipresenza dello strumento è una delle prime cose che colpisce – e che stupisce; ci sono canzoni costruite quasi solo intorno alla voce di Frank e alla chitarra, suonata da ospiti differenti anche se al momento è difficile collegarne i nomi alle canzoni: questo perché la lista dei contributors è sconfinata ma è, appunto, semplicemente una lista.
La difficile attribuzione dei credits
Se A Fond Farewell di Elliott Smith finisce in Siegfried, che include pure un sample dei Beatles (alla pari di White Ferrari), il contributo di David Bowie, Brian Eno e di decine di altri appare al momento ancora misterioso. Un apporto morale? O un sample di un secondo nascosto da qualche parte? La seconda ipotesi non è improbabile, se si pensa che Beyoncé e Kendrick Lamar, che certamente contribuiscono rispettivamente a Pink + White e Skyline To, praticamente non si sentono. Ed è una decisione anticommerciale di non poco peso, vista la fama di entrambi.
Si sente invece certamente Andre 3000, che si ricorderà già su Pink Matter in Channel Orange, anche qui alle prese con un rap sparato in Solo (Reprise). Ancora qualche parola sulla produzione stellare: Jamie XX, Pharrell, Tyler The Creator e tanti altri, ma nel complesso bisognerà attendere per avere le idee più chiare su chi ha fatto cosa.
L’apertura di Blond con Nikes, Ivy e Pink + White è formidabile, riprendendo alcune delle atmosfere già di Channel Orange, ma nell’insieme più morbide e più spaziate, complice l’assenza per lunghi tratti di beats, come già detto. Il momento migliore arriva però verso la metà ed è costituito da Nights, che si potrebbe leggere come la nuova Pyramids: divisa in più sezioni, è immediata e profonda allo stesso tempo. Davvero un highlight in un disco in cui non mancano i grandi momenti e una delle canzoni più belle che Ocean abbia mai scritto.
Blonde: un nuovo Frank Ocean?
Anche i testi differiscono dal passato: mancano le storie brevi che spiccavano nel precedente (Super Rich Kids, Lost, Pyramids); Blond è un disco introflesso, nel quale i racconti sono solo spezzoni (esemplare Good Guy, con la vicenda in prima persona di un incontro via chat che si conclude in un club gay, e che si contrappone a commenti altrui sulle compagnie femminili) e Ocean elabora temi maggiormente personali: l’infanzia, la crescita, la sessualità, la vecchia fissazione per le automobili.
Il discorso si può estendere anche alla voce: tanti i filtri che la modificano, ma lì dove arriva diretta, come alla fine di Nikes o durante Self Control, si capisce perché tanti lo considerano il più significativo interprete di r’n’b contemporaneo.
Difficile il voto
Proprio perché questa recensione è precoce, riesce difficile dare un voto. E’ vero per tanti dischi, ma qui la doppia uscita e le molte peculiarità invocherebbero ascolti ripetuti e magari in contesti differenti: per esempio l’ascolto di Blond in un pigro e solitario giro in auto nella città d’agosto è stato rivelatore, in positivo, ben più di quello casalingo.
E’ come se il disco avesse bisogno di prendere completamente l’ascoltatore, senza intromissioni. In assoluto, però, mi pare che qualche passaggio maggiormente ritmico avrebbe potuto giovargli. Per contro Endless, che dovrebbe essere il disco “minore”, avvolge più facilmente. E’ anche vero che nessuno dei due possiede l’impatto immediato e la finitezza di Channel Orange, ma è indubbio che questo è stato il desiderio dell’autore, non una sua mancanza.
Endless e Blond rappresentano una dichiarazione di stato dell’arte della musica contemporanea che chiamavamo “pop”; liberatosi dal dover doppiare per forza il successo di Channel Orange, Frank Ocean ha davvero la possibilità di espandere la sua musica oltre ogni genere, in qualsiasi direzione. E comunque a dare un voto ci proviamo:
Endless 9/10
Blond 9/10