Mumford & Son, poca originalità nel nuovo Wilder Man
Non sono una fan né una detrattrice dei Mumford & Sons. E’ quindi con uno spirito neutro che mi sono messa all’ascolto del loro ultimo lavoro, Wilder Mind, all’inizio della scorsa settimana.
Ad un primissimo approccio, l’impatto è piuttosto gradevole. Il brano di apertura Tompkins Square Park invoglia ad ascoltare le tracce successive che si dipanano in una sequenza ben calibrata ed equilibrata.
Cosa stona dunque in quest’ultimo lavoro dei Mumford & Sons? Non essendo mai stata fan delle sonorità alternative folk della band inglese non sono stata per nulla delusa dall’assenza dei caratteristici giri di banjo o dei cori tipici dei precedenti lavori. Un pesante restyling a colpi di chitarre elettriche e sintetizzatori ha conferito alla band un suono meno ruvido e più gradevole senza tuttavia conferire alla musica un’identità veramente singolare. Nel nuovo album dei Mumford si perpetua, sotto nuove configurazioni, il vero limite del gruppo, che eccede, ora come un tempo, nel perseguire una data linea narrativa in una maniera sempre un po’ artificiale (in passato il lirismo e il pathos esasperato di molte delle loro tracce, ora la nuova dimensione electro-pop), senza riuscire mai davvero a essere veramente originale e senza riuscire a confezionare un pezzo realmente memorabile.
La produzione di Wilder Man non aiuta
Se, come si diceva, il brano di apertura è estremamente gradevole e rimane a mio avviso il pezzo migliore dell’album. I successivi, che si snodano per 48 minuti complessivi, hanno in comune una sorta di “insostenibile leggerezza” che condanna l’album ad una valutazione non benevola specialmente a un secondo ascolto più attento. La produzione di James Ford (già produttore degli Arctic Monkeys) e di Aaron Dessner dei National ha ripulito e rafforzato la parte sonora conferendo all’album delle strutture ritmiche e un suono meno piatto rispetto al passato. Tuttavia la sensazione generale, specie per quanto riguarda i testi, rimane quella di un lavoro che galleggia in superficie, senza dare emozioni e senza pathos.
Le canzoni di Wilder Man
Fra i brani più interessanti nel bene e nel male, segnalo una fin troppo scatenata The Wolf, dal ritmo esasperato ed esasperante, a cui segue una Wilder Mind più orecchiabile, in una studiata alternanza fra brani ritmatissimi e sonorità più pacate. Ecco quindi in sequenza, Just Smoke, Snake Eyes, Monster.
Le ultime quattro tracce dell’album ci trovano ormai ad un ascolto piuttosto annoiato. Only Love, penultimo pezzo, rappresenta bene l’intero album: ritmi indiavolati introdotti da una sezione più melodica, in un crescendo esasperato. Il tutto tenuto assieme da strofe piuttosto dimenticabili.
Si tratta quindi di una operazione commerciale ben studiata e confezionata, il cui esito però mi pare deludente, sia per i vecchi fan che per il pubblico nuovo, se non altro quello più attento alla musica che alle hit parade.
4,5/10