Recensione: Jeff Tweedy - Love Is the KingdBpm Records – 2020

Jeff Tweedy torna da solo e colpisce al cuore con Love Is the King.

Torna il talento immenso e sbilenco di Jeff Tweedy, che abbandona ancora una volta momentaneamente i suoi formidabili Wilco, per offrici la sua sesta prova solista in quasi vent’anni (però siamo alla quinta negli ultimi sei anni).

Recensione: Jeff Tweedy - Love Is the King
dBpm Records – 2020

Sgombriamo subito il campo da ogni esitazione: le precedenti prove soliste dell’artista chiacagoano avevano suscitato tiepidissimi riscontri, e a ragione, in quanto si trattava di prove abbastanza opache, dove la scrittura dei pezzi solo episodicamente era al livello abituale (un po’ meglio in Sukierae, ma pochissima roba nei successivi Warm e Warmer), oppure di episodi che parevano ispirati più da un ansia di mostrare al mondo che i Wilco erano soprattutto Tweedy, come nel caso di Togheter at Last, dove il nostro offriva una rilettura scarna ed acustica di alcuni episodi del catalogo del gruppo, con l’unico risultato di far però rimpiangere amaramente la ricchezza e la fantasia dei pezzi originali. In questo ultimo Love Is the King invece Tweedy offre una prova finalmente convincente, dove il suo talento compositivo si esprime al meglio, offrendoci un pugno delle sue classiche melodie, sinuose, classiche ma al tempo stesso piene di scarti e di sorprese che ti lasciano sempre felicemente stupito.

I musicisti

Jeff, scrive ovviamente tutti i pezzi e suona tutte la parti di chitarre acustica, elettrica (con la su meravigliose indole naif da chitarrista capitato lì per sbaglio) e basso, facendosi accompagnare come sempre dal 2014 ad oggi nelle sue prove soliste dal figlio maggiore Spencer alla batteria, con un piccolo aiuto anche del figlio minore Sammy ai cori in un pugno di episodi. Ecco forse l’unico appunto può essere mosso alla scelta di appoggiarsi al drumming scolastico e rigido del figlio, scelta che se è funzionale in un’ottica di scarnificare la massimo le sue canzoni (percorso già iniziato con l’ultima prova dei Wilco del 2019, Ode to Joy), in questo caso genera parecchi rimpianti, perché conoscendo la cura che Tweedy mette nell’esecuzione dei suoi pezzi con i Wilco, dove tutti i formidabili musicisti del gruppo, sono in grado di arricchire le celesti melodie dell’autore di una gamma infinita di colori, sfumature e piccoli preziosismi, mai fini a se stessi, ti vien da mangiarti le mani a pensare a quello che forse è stato perso, a cosa sarebbe potuto succedere se dietro ai tamburi ci fosse stato (ne dico uno a caso) Glen Kotche, talentuoso batterista dei (guarda un po’!) Wilco, che avrebbe sicuramente supportato in modo certamente più adeguato questi preziosi gioielli con il suo drumming elastico e fantasioso.

Love Is the king: uno scrigno di gioielli per Jeff Tweedy

Al di là di questo piccolo peccato veniale (comunque dettato dall’amore verso i propri figli, quindi niente di male), si ritrova in queste canzoni il Tweedy più suggestivo ed ispirato, quello che è stato in grado, con gli Uncle Tupelo prima e con i Wilco poi, di uscire dagli angusti confini del genere “americana”, per arrivare ad un modern rock, originale ed autentico, in cui il passato si attualizzava all’oggi, con un rock scritto divinamente e suonato ancora meglio (ricordiamocelo, i Wilco sono una delle migliori, se non la miglior band da vedere oggi come oggi dal vivo). Si parte dalla deliziosa title track, arpeggio di acustica su discreti colpi di batteria, il classico giro a calare tipico delle migliori cose targate Wilco e in coda un assolo di elettrica nervoso ed imperfetto tipico di Tweedy, chitarrista non eccelso dal punto di vista tecnico, ma che ha comunque un cuore grande così (tanto che qui pare di sentire Nels Cline il fenomenale chitarrista dei Wilco).

Ci si imbatte poi negli ispirati finti country di Opaline prima, che sembra un apocrifo di John Prine, con tanto di slide a cullare i cuori, della sinuosa e contagiosa A Robin or A Wren, per poi passare al singolo Gwendolyn, dove il fantasma di John  Lennon aleggia sul pezzo in modo nemmeno troppo nascosto. Ci sono poi alcune ballate acustiche che ti si attaccano sotto pelle, che crescono ascolto dopo ascolto, e ti fanno serrare gli occhi fino alle lacrime, Bad Day Lately, Even I can See, Save it for me e, soprattutto, Troubled, forse il picco dell’album, che speriamo possa entrare nel repertorio live dei Wilco, pezzo con una costruzione melodica soprannaturale, in cui Tweedy racconta ancora le sue paure e le sue ansie (Oh I’m troubled But the trouble’s still me…) all’interno di una canzone in grado di sciogliere il ghiaccio. Ci sono poi ancora i Beatles che colorano Guess Again e gli adorati Big Star, il cui talento compositivo vene richiamato in Natural Disaster, pezzo gancio, che con la sua semplicità declina l’abc del pezzo pop perfetto e nella conclusiva Half-Asleep, con un nuovo ispiratissimo assolo di elettrica a chiudere un disco che non ha alcuna caduta di tono, che mostra parecchi picchi e un livello di scrittura raro al giorno d’oggi.

L’ulteriore conferma di un talento d’altri tempi

Disco splendido, dove Tweedy come spesso gli accade fuori dalla sua band, spoglia le canzoni, riducendole all’osso ed esaltandone la magia melodica. È una gioia poter ritrovare finalmente un Tweedy solista, che dopo alcuni tentativi andati un po’ a vuoto, ci ha finalmente offerto un prodotto che rende giustizia al suo genio compositivo; e che speriamo possa essere usato come carburante per far tornare a volare in alto i Wilco un po’ appannati degli ultimi anni tre/quattro anni (comunque, anche da appannati, rimangono sempre un bel pezzo sopra tutti i gruppi attuali).

Disco prezioso, da ascoltare con attenzione, in grado di regalare conforto e gioia a orecchie e cuori.

Jeff Tweedy - Love Is the King
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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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