Jeff Tweedy, i Wilco e il nuovo Ode To Joy.
Il senso dell’umorismo non è mai mancato a Jeff Tweedy. Per questo l’ironia di definire Ode To Joy il suo disco più cupo e oscuro non solo non sorprende, ma tutto sommato ci rassicura sul fatto che l’uomo non ha perso quel sorrisetto beffardo che da anni nasconde dietro la sua ostentata timidezza.
E se qualcuno di voi giustamente ha storto il naso quando ho definito questa nuova fatica dei Wilco come se fosse il disco di un solista, proverò a spiegare perché qualcosa è davvero cambiato nelle dinamiche del gruppo all’indomani di quel The Whole Love del 2011 che fin da subito aveva dato l’impressione di essere la fine di un viaggio. Perché Ode To Joy, come già era successo per il precedente Schmilco, continua il processo di chiusura intimista di Tweedy, che concede sempre meno spazio ai suoi compagni di viaggio in studio, pur continuando a farli sfogare nei concerti dal vivo.
Le tentazioni soliste
Anche recentemente abbiamo potuto appurare che sul palco i Wilco continuano ad essere una macchina perfettamente oliata, con il consueto duello tra tradizione e sperimentazione innescato da Pat Sansone e Nels Cline, e una sezione ritmica davvero in grado di funzionare su qualsiasi canzone. Ma in studio, dopo il fallimento di Star Wars del 2015 (l’unico album veramente sbagliato della sigla), in cui i sei avevano cercato una nuova linea espressiva di gruppo senza però trovarla, Tweedy ha iniziato un percorso quasi da indie-folker che coinvolge gli ultimi due Wilco, ma anche il disco fatto con il figlio a nome Tweedy (Sukierae del 2014) e il suo bellissimo disco solista del 2018 (Warm).
Ode To Joy: c’è voglia di cambiamenti per i Wilco
Ode To Joy però pare subito un capitolo differente. Perché, se le sue ultime sortite avevano dato la sensazione di un ritorno alla tradizione folk dei suoi esordi con gli Uncle Tupelo, qui Tweedy sfrutta i Wilco per cercare una nuova forma espressiva da band, pur presentando un pugno di canzoni da cantautore solitario. Chi ha sentito come me molti di questi brani eseguiti dal vivo ancor prima di poter ascoltare l’album, si è subito reso conto che, se immersi nel contesto di una scaletta live, si amalgamano benissimo con i loro classici, e questo è il grande merito di Ode To Joy. Ma è anche evidente che la nuova strada può essere ancora perfezionata, magari ridando giusta enfasi al fatto di avere a disposizione non solo dei grandi session-men, ma dei veri artisti in grado di metterci del proprio.
Jeff Tweedy tra live e studio
E magari così accontentare anche chi si è trovato un po’ perso in mezzo ad un pugno di canzoni che non concedono respiro e speranza, né tanto meno sfoghi strumentali che spezzino la tensione, curiosamente uscite in contemporanea al nuovo album di Nick Cave (Ghosteen) in una sorta di gara a distanza a chi è più depresso e più deprimente. Per questo Ode To Joy riporta a livelli alti una sigla che stava indiscutibilmente attraversando una fase difficile, ma non è secondo me ancora il disco che Tweedy sta cercando per innescare una nuova era.
E il fatto che dal vivo comunque si cominci anche a respirare una certa aria da “greatest hits per nostalgici”, inevitabile per una band comunque attiva da 25 anni, deve suonare come un pericolo. Saluto dunque questa prova d’autore con sollievo, ma anche con la sensazione che se davvero i Wilco vorranno essere protagonisti anche degli anni 20, questo dovrà essere solo il primo seme per far crescere una nuova pianta che non si rifugi sempre e solo nel rassicurante sussurro di una canzone sofferta.
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