Un ritorno all’insegna del cambiamento per gli Ought.

I canadesi Ought si sono fatti conoscere negli ultimi anni con un paio di belle prove, a cominciare dall’esordio More Than Any Other Day. Sul successivo Sun Coming Down rendevano omaggio a una tradizione che spazia fra Fugazi e Sonic Youth. Poi hanno abbandonato la Constellation Records per la Merge, hanno preso un produttore francese, Nicolas Vernhes, molto attivo sulla scena indie rock americana, ed eccoli sfornare Room Inside the World.
Room Inside the World verso un suono post-punk
Room Inside the World cambia decisamente strada rispetto ai due dischi precedenti. Gli Ought si dirigono verso un suono post-punk più manierato, mettendo la sordina alle influenze precedenti. Lo si percepisce immediatamente sulle note iniziali di Into The Sea, con il piano e poi la ritmica che incalza. Oppure nel singolo These 3 Things, uscito già verso la fine dello scorso anno. E che evidentemente guarda verso il pubblico degli Editors e dintorni. Più personale Alice, dalle atmosfere soffuse, che chiude il disco.
La voce degli Ought
Ovviamente, cambiato il genere, bisognava cambiare anche il modo di cantare. Tim Darcy abbandona quindi il cantato nervoso dei dischi precedenti, e tenta un approccio più melodico. In qualche caso, come sulla bella Take Everything, gli riesce abbastanza bene. Ma altrove è sconcertante perché su certi toni Darcy proprio non arriva e il risultato è al limite del fastidioso.
Il giudizio su Room Inside the World
In conclusione, è difficile dire dove vogliano andare gli Ought con Room Inside the World. Verso una maggiore commercialità? Va detto che il genere post-punk è attualmente davvero inflazionato e, per gli ottimi Protomartyr, abbiamo anche numerose mezze figure. Purtroppo i nuovi Ought sembrano appartenere più al secondo gruppo. Se riascoltiamo oggi l’esordio non perfetto, ma così promettente di More Than Any Other Day, questo Room Inside the World appare poco vitale e sostanzialmente sbagliato.
Be the first to leave a review.