Honey: riapre la boutique del pop.
Robin Miriam Carlsson in arte Robyn inizia giovanissima. A soli tredici anni, cantando una canzone che aveva come tema il divorzio dei genitori, viene notata da una casa discografica e firma il suo primo contratto. Passano gli anni e tra alti e bassi l’artista riesce a farsi conoscere in tutto il mondo grazie a dischi per palati facili e a un paio di brani che scalano le charts europee e americane.
Il ritorno di Robyn
Robyn torna dopo otto anni di assenza dalla scena discografica con Honey, lavoro in cui tenta di allontanarsi dalla linea pop di classe dei precedenti album e a tratti riesce nell’impresa. Ciò non toglie che si resti comunque nell’ambito di un prodotto rivolto soprattutto alle radio e a un’utenza svagata. E se le recensioni sono quasi tutte molte positive è perché Robyn, quasi quarantenne, è simpatica a pubblico e critica. Se lo stesso disco lo avesse inciso, tanto per fare un nome, la più sfrontata e pretenziosa Kylie Minogue gli entusiasmi sarebbero stati pressoché assenti.
Una possibile svolta per Robyn
Come si diceva, con Honey l’artista di Stoccolma prova a tratti a prendere le distanze dalla linea pop anni ’90 dei precedenti lavori e che qui resta ben percepibile nei due singoli, Missing You e Honey, fabbricati in maniera impeccabile per compiacere il pubblico che aspettava proprio questo tipo di prodotto. Nella seconda parte ci sono però un paio di episodi certamente patinati ma con qualche increspatura destinata a suscitare interesse anche in chi non si soffermerebbe troppo su un disco del genere. Between The Lines e Beach 2k20 sono la sorpresa che lascia pensare ad un’artista matura che prova a cercare sonorità adeguate a un possibile nuovo ruolo. Il fatto che tra i produttori spunti il nome di Joseph Mount dei Metronomy forse è un segnale che nelle intenzioni di Robyn ci sia una virata in direzione meno sonico-populista.
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