Seconda puntata dei colloqui sul rock e ciò che gli ruota intorno con il giornalista musicale John Vignola (Radio Due Rai, Il Mucchio, Vanity Fair e altro ancora). Stavolta si affronta il tema del ‘disco della vita’ sia dal punto di vista teorico che da quello personale. Head & Heart, insomma, come cantava tanti anni fa John Martyn…
Un disco della vita è un disco che ricorre, che ritorna. Però, ricollegandomi alle metafore sulle relazioni sentimentali della puntata precedente, non è un disco con cui ci si sposa, perché il matrimonio tende a portare con sé la consuetudine. Nella Coscienza di Zeno Italo Svevo scrive una frase che suona più o meno così: “si amano le Ade e si sposano le Auguste”. Il disco della vita è un’Ada, è una costante nel percorso umano di un ascoltatore. Di norma è legato al nostro imprinting sonico, alla fase in cui ci avviciniamo alla musica; poi, nei momenti più inaspettati ritorna, è un disco con cui si fa l’amore in tutti i sensi. Per avere un proprio disco della vita bisogna amare veramente la musica; le persone che non amano la musica non hanno dischi della vita, al massimo canzoni da fischiettare sotto la doccia. E non è semplicemente il disco che ti ricorda situazioni tipo il primo bacio, perché il disco della vita tratteggia i momenti che davvero contano, ritorna nelle situazioni importanti, si fa evocare da queste anziché riportare alla mente quel certo momento del passato.
Buffo a dirsi, considerando che faccio il giornalista musicale, il mio disco della vita non è un album vero e proprio, è un’antologia dei Beatles e nemmeno una di quelle importanti. Si tratta di Love Songs, doppio album in vinile con copertina marrone portafoglio acquistato nella prima adolescenza. Contiene soprattutto canzoni del loro primo periodo come I Follow The Sun o Something, magari non famosissime ma melodicamente pazzesche. Ogni tanto lo metto ritualmente sul giradischi e, anche se è vecchio e ha qualche graffio, mi sembra suoni in modo ineguagliabilmente brillante e nitido. L’ho sentito nei momenti più belli e in quelli più brutti e mi fa quasi sempre commuovere (è successo anche di recente).
L’unico album che può fargli argine, diciamo il mio disco della vita di riserva, è Forever Changes dei Love: scoperto qualche anno dopo Love Songs, ha lo stesso tipo di melodie strappacuore. Qui c’è anche un valore simbolico: forse perché il titolo menziona il perenne mutamento, è il disco che ho sentito nei momenti in cui ho cambiato vita professionalmente oppure sentimentalmente; l’ho regalato a diverse mie fidanzate, in genere poco prima che decidessero di cambiare qualcosa anche nelle loro vite lasciandomi.