john vignola

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In questa terza puntata della sua affascinante disamina del mondo rock visto con gli occhi del giornalista/fan, John Vignola (Radio Due, Il Mucchio, Vanity Fair…) racconta alcune brillanti e picaresche esperienze vissute nelle vesti di intervistatore

Facendo il giornalista, in particolar modo il giornalista musicale, ti trovi a vivere situazioni di orribile privilegio. Dico orribile perché talora finisci a fare cose davvero agghiaccianti, dico privilegio perché prima di dedicarmi a questo mestiere non avrei mai pensato di poter conoscere o, meglio, di poter rivolgere la parola a gente che avevo visto in tv o al cinema oppure sentito solo su grammofono. Il momento focale dei miei “incontri con uomini (e donne) straordinari” è abbastanza lontano nel tempo. Forse in epoche successive ci sono stati episodi anche più significativi, grandi nomi da curriculum,  ma sono le prime volte quelle che ti segnano, perché vuoi dimostrare qualcosa e, al tempo stesso, non sei ancora sicuro delle tue capacità di intervistatore, hai paura di essere banale. Tutto ciò è stato spazzato via da un incontro con Tricky.

tricky

Siamo a Londra sul finire degli anni ’90 e Tricky è già parecchio famoso per la sua lunaticità. Durante il viaggio in metropolitana per arrivare all’albergo luogo dell’appuntamento, il collega che è con me racconta sadicamente tutto quel che si dice a proposito dei maltrattamenti verbali inflitti da Tricky ai giornalisti. Quando ci avviciniamo alla camera occupata dal musicista, le peggiori previsioni sembrano avverarsi: veniamo infatti accolti da un urlo quasi disumano rivolto proprio da Tricky a una cameriera che aveva appena toccato una zona della stanza che non doveva toccare. Subito dopo vengo quasi scaraventato ai piedi di quest’uomo non alto, ma in quel momento con i muscoli a fior di pelle, che mi guarda  come King Kong aveva guardato Jessica Lange nel famoso film del 1976 e mi chiede: “Tu da dove vieni?” Io sto per rispondere “Dalle scale”, poi capisco che il contesto non si addice allo humour. Lui si scusa per le urla e mi dice: “Sai, io vorrei che questo armadio non venisse toccato da nessuno”. Un secondo dopo, forse per spiegarsi meglio, lo apre e io mi trovo davanti agli occhi una quantità incredibile di boccette e confezioni di medicinali stipate una accanto all’altra –  una cosa che non avevo mai visto neanche in un ambulatorio d’ospedale. E’ il suo “magico scrigno” e, partendo dal magico scrigno, facciamo una splendida intervista durante la quale lui è gentilissimo e io resto ben lontano dalle boccette.

Da allora ho capito una cosa, vale a dire che, come intervistatore, io tendo a muovere a compassione l’interlocutore. La cosa ha i suoi vantaggi. Ad esempio, mi capitò una volta di andare in California per intervistare Tom Waits…

Ma di questo parleremo nella prossima puntata della rubrica.  

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