Nima Marie 1

Nima Marie 1

Nell’Italia incupita  di oggi la musica di Nima Marie, e del suo primo album Woollen Cap,  suona fresca e rincuorante. Abbiamo incontrato la cantautrice monzese per una rilassata intervista open air di fine estate e l’abbiamo trovata… fresca e rincuorante.  L’abbiamo trovata anche molto serena nel raccontare di sé. Però qual è il suo vero nome mica  ce l’ha mica detto.

di Antonio Vivaldi 

Cominciamo dunque dal nome d’arte, gentile signorina XY. Da dove arriva Nima Marie?
Quando ho cominciato a suonare e scrivere canzoni, mi sono resa conto che, all’interno della mia vita, quella era la parte, diciamo così, vera. Quando non ho il microfono davanti perdo i superpoteri e mi sento Clark Kent, occhiali inclusi. Volevo un nome che significasse qualcosa nella mia relazione con la musica e Nima mi ha subito colpito. È di origine persiana, ma è presente in molte culture diverse, sia al femminile che al maschile. Quindi è perfetto se l’intenzione è quella di arrivare, con la musica o altro, a quante più persone possibile. Poi ha dei significati molto belli, fra cui “qualcuno che divide a metà”. Forse in origine aveva a che fare con la giustizia, con l’equità, ma a me dà soprattutto l’idea di condivisione, nel mio caso attraverso la musica, di idee, sentimenti, storie, pensieri.
Quella musicale non è quasi mai una carriera che dà da vivere. Tu perché fai la cantautrice?
Perché non è una carriera ma un’esigenza. Per me è autoterapeutico. A volte mi sento una pentola a pressione e lo scrivere canzoni è la valvola di sfogo. Poi è una cosa che mi viene naturale. Da ragazza compravo i dischi, poi imparavo a memoria le canzoni che mi piacevano di più perché le volevo cantare.
Hai pubblicato un ep, Come Back, nel 2008 e il primo album vero e proprio, Woollen Cap, nel 2013 [entrambi per la OrangeHomeRecords, nda]. Fra i due si percepisce una certa differenza, inevitabile dato il lasso di tempo trascorso…
L’ep è nato quasi per necessità, perché ai concerti ci chiedevano un disco. Poi c’è stato un lungo lavoro di riflessione, che è un modo fine per dire ‘sfiga’, e Woollen Cap è arrivato un bel po’ di tempo dopo. Non sono molto prolifica, diciamo che non sono Ani di Franco.
La scelta di cantare (bene, fra l’altro) in inglese?
Ho cominciato a scrivere canzoni tanto tempo fa ed erano in italiano, però tutta la musica che ascoltavo era in inglese e quindi il cambio di lingua è stato quasi naturale. Si sa che, in linea generale, in inglese è più facile piegare i testi alla melodie e poi mi rendevo conto che componendo le frasi nascevano già ‘musicali’. Inizialmente c’era poi un’idea di autoprotezione del tipo “non voglio essere capita” che poi si è rovesciata: l’inglese è la lingua tramite la quale puoi essere capita da molte persone; è l’esperanto di oggi. Mi piacerebbe molto creare un corso di inglese con le canzoni che amo. Da qualche tempo sto provando a scrivere di nuovo in italiano, ma i risultati non mi soddisfano; mi trovo a cascare nel cantautorato italiano classico e non mi piace.

Nima Marie 2

I concerti?
Suonare dal vivo mi piace moltissimo. Ritornando al nome, posso dire che l’idea delle due metà vale anche per i concerti: se la metà-Nima è brava e precisa, ma la metà-pubblico non se ne accorge, allora il concerto è zoppo, non c’è risonanza. Il pubblico paga e tu lo devi conquistare. Soprattutto agli inizi mi chiedevo: “Piace quel che faccio? Significa qualcosa per gli altri?”. Poi cominci a pensarci un po’ meno, ma comunque un riscontro lo vuoi sempre percepire.
Come definiresti la tua ispirazione? Naturalistica? Letteraria? Emotiva?
Direi natural-emotiva. Mi sento come un diapason che viene fatto risuonare, come un robocop che guarda la sua ‘vittima’ e poi restringe il campo visivo. Sono cose che so di poter riutilizzare. Raccogliere impressioni (e magari prendere nota) mi viene automatico. Stamattina stavo leggendo Il buio oltre la siepe di Harper Lee che parla di questi ragazzi attratti dalla strana figura di un vicino di casa, “come la luna attira l’acqua” e ho trovato l’immagine affascinante, così mi è venuto naturale tenerla a mente, appuntarla. Un altro esempio: sempre oggi stavo camminando lungo la strada che costeggia la spiaggia. C’era questa grande farfalla colorata che volava davanti a me e lo ha fatto per una cinquantina di metri. Nel punto in cui io dovevo girare a destra, la farfalla ha girato a destra davanti a me. Non so se userò l’immagine per una canzone, però ha reso bella la mia giornata. Poi, se ti viene il guizzo darkettone, magari pensi: “Quella farfalla vivrà solo due giorni”, ma non è il mio caso.
La mia idea è di raccontare l’universale attraverso il particolare in modo che nelle mie canzoni tutti possano trovare qualcosa. Per questo non mi disturba il fatto che Woollen Cap si stato giudicato spensierato o solare, anche se io non lo sento così. Se l’emozione che arriva è questa, se qualcuno è stato rincuorato, addolcito da un mio pezzo ne sono felicissima.

nima marie cover
Tecnicamente come componi?
Scrivo parole e musica insieme. A volte prendo in mano la chitarra con un’idea in testa e scrivo testo e melodia insieme, come fosse tutto intrecciato. Se lavoro prima su un elemento poi su un altro fatico molto di più.
In quale epoca musicale avresti voluti vivere? Gli anni ’70 del Laurel Canyon?
No, fra gli anni ’20 e ’30, bella arricciolata, con il vestito con le frange, orchestra e pianista. Dal vivo io e il gruppo facciamo cover di canzoni anni ’30 che mi piace chiamare vintage folk-pop. Il video di un pezzo dell’ep , Follow You, l’ho assemblato utilizzando immagini dai cartoni animati di Betty Boop.

httpv://www.youtube.com/watch?v=MjnVekZpeF0

Nima Marie – Follow You

“Canzone d’autore al femminile”. Più che una categoria a volte sembra un ghetto.
A volte sì. Una domanda che mi fanno quasi sempre i giornalisti è “quanti anni hai?”, una cosa che ai miei colleghi maschi non chiedono di certo. E poi le donne sono solo paragonate ad altre donne. Ad esempio io sono stata definita per un po’ la “Norah Jones italiana” , però negli archi di un mio pezzo come Eyes Shut quello che sento è Bonnie Prince Billy e dal vivo suono pezzi di Tom Waits mica di Joni Mitchell.
Il futuro?
Sento musicisti stonati e scordati che però toccano il cuore, emozionano. Penso a Damien Rice, che adoro e mi chiedo dove sia finito, oppure a Bonnie Prince Billy, di cui vorrei fare qualcosa dal vivo. Woollen Cap è un disco che mi piace molto, ma è un disco pulito; il prossimo lo vorrei sporcare un po’.

 

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 httpv://www.youtube.com/watch?v=C5yWvyvi8k0

Nima Marie – You Know I Do

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