Pere Ubu concerto

R.I.P.  per David Thomas dei Pere Ubu (14.06.1953 – 23.04.2025).

Certo che per la mia (de)generazione son tempi bui, numi tutelari della nostra adolescenza se ne vanno con sempre più frequenza e spesso è frequenza disturbante, oltre l’ultrasuono. Questo è tutt’altro che un coccodrillo, la cosa mi ha colto impreparato, quindi mi si conceda il condono da un sempre più prossimo decervellamento, se le righe son contrite e la prosa prosaica.

David Thomas oltre i Pere Ubu

David Thomas era Pere Ubu, non solo la band, non solo il cantore, ma era davvero la creatura teatrale di Alfred Jarry, l’incontro patafisico tra l’aurea grottesca della realtà e lo sberleffo dei ,poteri, il gargantuesco e il pantagruelico, perché, sì, c’era anche del Rabelais in lui.

Nell’enormità polisemica della sua figura, negli ultima anni foriera di una immacolata consunzione, David Thomas verrà ricordato dai più come, appunto, l’anima dei Pere Ubu, ma non si tralascino pure pagine intense come i seminali Rocket From The Tombs, i suoi lavori con i Two Pale Boys, le collaborazioni colte dei primi vagiti solisti con il meglio dell’avanguardia e della retroguardia, i canterburiani Lindsay Cooper e Chris Cutler reduci da Enrico Vacca e le leve neo jazz di Phil Moxham e Anton Fier, e tanto tanto altro ancora sotto le egide più diverse ma sempre velate di uno sguardo sardonico con quelle palpebre, insomma un omnipadre senza per forza esser sempre ubuesco.

Da The Modern Dance a Trouble on Big Beat Street

Il tragitto costruito da The Modern Dance a (ad oggi ultima emissione ma si parla già di un nuovo album terminato e prossimo all’uscita) Trouble on Big Beat Street, partiva dai miasmi industriali per patti non allineati, sceglieva impervi sentieri con Mayo Thompson dei Red Crayola, si poppizzava ai limiti della riconoscibilità in quel, di nuovo, enorme scherzo che fu Cloudland, si incarnò nel suo stesso moniker con Sarah Jane Morris in Long Live Pere Ubu, impervia scoscesa nell’opera Jarryiana sino agli ultimi passi in bianco nero dove Raymond Chandler brindava dietro una tela di Edward Hopper: e questi sono solo pochissimi esempi di una discografia di gran mole.

Un tragitto sonoro dove clangori e sibili di acciaio incontravano “quella voce” che passava senza difficoltà dal velluto alla carta abrasiva, dove la presenza scenica degli albori, l’abbigliamento da Testimone di Geova, memore della sua forzata educazione e relativa fuga da essa, e residua imago lasciata per una nuda esibizione della tragicità della sua caducità e forzato immobilismo, rimangono ben impresse come pochissimi altri potevano vantare.

Musicista completo, memorabili alcuni suoi lazzi con la concertina in sapor di sailor’s tale, è stato anche poeta inopportuno e, soprattutto, una delle ultime figure rimaste di una controcultura che oggi di cultura ha solo il contro.

Malato da tempo, ci lascia abbastanza presto, orfani di un Pere che in tanti abbiamo amato.

print

Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

Di Marcello Valeri

Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Panoramica privacy

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.