lucio

lucio

Con tante madri e il tempo un laghetto
coi pesci dei giorni
È il gamberetto del mio compleanno che torna lì
Fu molto dopo che dentro la pioggia
vidi tra mille la goccia d’acqua mia
prigionia

Don Giovanni: un dsco insolito per Lucio Battisti.

Ammesso che, ascoltando questa canzone, riusciate a riconoscere la voce decisamente inusuale di un Battisti catatonico, sareste mai in grado di dire che dei versi così bizzarri sono usciti dalla penna di Mogol, lo storico paroliere del grande Lucio? No, vero? E avreste tutte le ragioni per non dirlo. Il brano in questione, dal curioso titolo “Madre pennuta”, risale al 1986 ed è tratto dall’album “Don Giovanni”, il primo frutto del sodalizio tra Battisti e l’eccentrico poeta Pasquale Panella. Cerchiamo, però, di andare con ordine.

Nel 1980 viene pubblicato “Una giornata uggiosa”, ultimo LP di Battisti scritto in collaborazione con Giulio Rapetti, in arte Mogol. Superfluo dire che quest’album segna la fine di un’epoca. Un’epoca che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della canzone leggera italiana, e non solo: quasi tre lustri di successi ininterrotti, nonostante lo scetticismo iniziale del pubblico ed i commenti infuocati della critica, che notoriamente, in tutti i campi dell’arte, poche volte è stata capace di riconoscere i talenti, specie quelli innovatori, se non con imperdonabile ritardo.

Una-Giornata-Uggiosa-cover

La separazione da Mogol

Sulle cause della rottura è stata sprecata molta fantasia: divergenze sull’amministrazione finanziaria della società editoriale, antipatia reciproca tra Mogol e la moglie di Lucio, liti condominiali e altre stupidaggini che lasciamo volentieri sepolte tra le pagine delle riviste scandalistiche dell’epoca.
Il vero motivo della separazione, confermato anche dalle dichiarazioni degli interessati, appare chiaro se si confrontano le successive carriere dei due artisti. Se, infatti, negli anni ottanta Mogol ha continuato a scrivere testi per altri cantanti, mantenendo il suo stile emozionale, fresco ed evocativo che conosciamo tutti, Battisti ha invece operato una vera e propria svolta artistica, abbracciando uno sperimentalismo coraggioso e, talvolta, ai limiti dell’esasperato. Più che di una rottura con il suo paroliere, quindi, si tratta di un distacco del cantautore da se stesso e dal suo precedente modo di concepire la musica. Per poter parlare a tutti gli effetti di una nuova era Battisti, però, dobbiamo aspettare ancora per ben sei anni. In questo periodo di transizione, a parte qualche collaborazione di rilevanza marginale, viene inciso un solo LP: “E già” (1982).

battisti velezia

Velezia

Scritto assieme alla moglie Grazia Letizia Veronese, che firma i testi con lo pseudonimo di Velezia, quest’album costituisce già, per molti aspetti, un’anticipazione di quella che sarà la nuova strada intrapresa dal cantante. L’elettronica, che a dire il vero non era mai stata disdegnata nemmeno nella fase artistica precedente, adesso non è più relegata ad funzione complementare, quasi di riempitivo, ma assume un ruolo egemonizzante. Eliminati del tutto gli strumenti acustici, ora la struttura portante delle tracce viene tessuta con i ritmi ossessivi della batteria elettronica ed i suoni vorticosi, a tratti psichedelici, dei sintetizzatori.
La voce conserva ancora il calore di un tempo, ma è meno variegata, più composta, senza i repentini cambiamenti di tonalità e di stile a cui eravamo abituati. Nonostante un uso consistente di echi e distorsioni, che per certi versi rendono più anonima l’interpretazione, il timbro caratteristico di Lucio è tuttavia ben riconoscibile.

I testi del nuovo disco

I testi si affrancano dalle tematiche amorose e passionali, che in precedenza erano pressoché onnipresenti con le loro note amare, tristi e nostalgiche, per lasciare il posto a toni più spensierati, che fanno trasparire voglia di vivere, divertirsi e, ovviamente, rinnovarsi. Sotto quest’ultimo aspetto sono particolarmente significative, quasi programmatiche, le parole del brano “Scrivi il tuo nome”, con cui si apre l’album:

E per dimostrare che si può cambiare
sposta il confine di ciò che è normale
Bella giornata è questa qua
l’aria più fresca ti esalta già
Il momento migliore per cominciare
un’altra vita, un altro stile.

Lucio-Battisti-E-Gia-Front

Lucio Battisti fra anni ’80 e ’90

Arriviamo dunque a parlare, finalmente, della seconda ed ultima fase artistica di Battisti, alla quale abbiamo già impazientemente accennato all’inizio. Si tratta di un periodo molto ben definito dal punto di vista cronologico e con una certa compattezza e coerenza anche sul piano stilistico, pur non essendo totalmente esente da evoluzioni e cambiamenti interni.

La produzione ammonta a cinque album, pubblicati regolarmente a distanza di due anni l’uno dall’altro: Don Giovanni (1986), L’apparenza (1988), La sposa occidentale (1990), Cosa succederà alla ragazza (1992) e Hegel (1994). Da nessuno di questi LP sono stati tratti singoli. Osserviamo, per inciso, che dall’ultimo lavoro di Battisti fino alla sua morte, avvenuta nel 1998, trascorrono soltanto quattro anni: non è quindi esatta la credenza abbastanza diffusa che l’artista sia morto dopo un lungo periodo di ritiro dal mondo della musica.

Il duo Battisti/Panella

Tra le tante caratteristiche comuni all’opera di Battisti/Panella, quella che salta per prima all’occhio è lo stile delle copertine: tutte estremamente semplici, a sfondo bianco, con un disegno stilizzato a matita o una scritta in nero, per questo si parla anche di “periodo bianco”. Il minimalismo della grafica rispecchia, in linea di massima, lo stile delle canzoni. Gli arrangiamenti sono scarni, freddi e sostengono ritmi ripetitivi, poco articolati e mai troppo veloci. La struttura tradizionale della canzone leggera, già mesa in dubbio in alcuni pezzi del Battisti di vecchia data, come ad esempio “La collina dei ciliegi”, viene ora sistematicamente demolita: i brani hanno una una struttura piatta, priva di ritornello e senza una particolare evoluzione melodica. Se qua e là, sporadicamente, c’è un cenno di melodia o di orecchiabilità, arriva proprio quando meno te l’aspetti.

Una nuova voce per Battisti

Rispetto alla svolta drastica di “E già”, dove erano stati usati esclusivamente suoni sintetici, si avverte un parziale ritorno agli strumenti acustici: compaiono chitarre, batteria, pianoforte e talvolta perfino violino, arpa ed ottoni.
L’elettronica, però, continua nettamente a primeggiare, tant’è che qualcuno, esagerando, ha accostato la produzione di quegli anni al genere techno. A prescindere dall’opportunità o meno di utilizzare particolari etichette, che spesso hanno un valore puramente convenzionale, va tenuto comunque presente che nel lavoro di Battisti non si riscontra mai una ricerca della ballabilità, almeno nel senso che viene comunemente applicato alla musica disco. Scordatevi quindi percussioni martellanti, bassi marcati e ritmi incalzanti alla Moroder, tanto per dirne una.
L’elettronica, inoltre, non è mai fine a se stessa: le parti non cantate sono davvero rare, eccezion fatta per le brevi introduzioni strumentali, in ogni caso sempre molto sobrie, presenti in quasi tutte le tracce.

Ma lo strumento, se così si può definire, che stupisce maggiormente l’ascoltatore è la voce dello stesso Lucio: fredda, flebile, monotona, quasi irriconoscibile per chi è abituato al calore e all’umanità che Battisti sembrava emanare quando cantava i testi del suo fedele amico Mogol.

Non si tratta di un effetto delle manipolazioni elettroniche, il cui contributo è peraltro calato in confronto a quanto preconizzato in “E già”, ma di una ben precisa scelta interpretativa che è in piena sintonia con la dottrina minimalista del periodo bianco.

Lucio Battisti - Don Giovanni CD cover

Pasquale Panella

Tutti i testi di questo periodo sono stati scritti da Pasquale Panella (Roma, 1950). Chi era costui? Possiamo dire spietatamente che all’epoca dell’incontro con Lucio, avvenuto nel 1983 nel contesto di una collaborazione minore, Panella non era praticamente nessuno. È ipotizzabile, però, che Lucio avesse intuito fin da subito l’estro bizzarro e multiforme dell’artista e che ne fosse rimasto colpito. Panella, infatti, nella sua carriera parallela e successiva al lavoro con Battisti, si cimenterà in svariati ambiti dell’arte e della letteratura, senza mai sfondare ma riuscendo comunque a ritagliarsi un certo spazio e a distinguersi per la propria originalità come poeta, autore di teatro, recitatore, romanziere, paroliere…

I versi di Panella sono molto criptici e tendono a condensare più concetti in una singola espressione, al punto che la sua poetica è stata paragonata, a ragion veduta, all’ermetismo. L’interpretazione dei testi non è mai chiara né univoca, ma appare abbastanza evidente l’assenza di intenti narrativi. Incontriamo, piuttosto, delle sequenze di immagini che sembrano voler evocare sensazioni e suggerirci degli spunti frammentari i quali, se opportunamente ricomposti, ci permettono di ricostruire un’idea di fondo che ricorre nell’intero brano o, addirittura, in tutto l’album, come esemplificheremo più avanti. Abbiamo usato la parola “immagini” perché, anche quando vengono espressi concetti molto astratti e fumosi, si parte quasi sempre da elementi mutuati dalla vita di tutti i giorni: così scopriamo, a titolo di esempio, che “l’amore è un gesto pazzo come rompere una noce con il mento sopra il cuore” e che il tempo veste i panni di “un obeso in limousine”.

Un modo differente di scrivere

Le associazioni di idee sono spesso molto azzardate: astratto e concreto, naturale ed artificiale, sacro e profano, colto e triviale vengono accostati in maniera cosi arbitraria e stridente da sconfinare talvolta nel comico, facendo sospettare probabili intenti autoironici da parte dell’autore. È il caso, ad esempio, di espressioni come “gli animali sono esseri scorrevoli / però il rinoceronte ha il freno a mano”, oppure “Ricordo il suo bel nome: Hegel di Tubinga / ed io avrei masticato la sua tuta da ginnastica”. In alcuni casi l’ironia è esplicita, soprattutto nei numerosi giochi di parole e doppi sensi, che non risparmiano proprio nessuno: perfino il già citato Hegel, al quale è intitolato l’ultimo album, viene sbeffeggiato con versi del tipo “E lei che nel suo bel nome era una Jena”, dove si gioca sull’assonanza tra il nome dell’animale proverbialmente abietto e quello della città universitaria dove il celebre filosofo tedesco ha insegnato per anni. Questo dualismo tra cultura e facezia, che spesso ci porta ad apprezzare i testi non tanto per il loro significato, ma per la loro intrinseca bellezza fonetica ed immaginifica, ricorda un po’ lo stile di Franco Battiato. Forse non è un caso che, nei primi anni duemila, alcune canzoni di Battisti/Panella siano state riprese (con risultati, a nostro avviso, scadenti) dalla cantante Alice, storica collaboratrice ed interprete del compositore siciliano.

panella

Anche il linguaggio, di per sé, non è esente da stravaganze. Le parole, tanto per dirne una, vengono create o modificate a proprio uso e consumo, per cui la misteriosa “madre pennuta”, con cui abbiamo già avuto a che fare, viene apostrofata con l’appellativo di “mio morbidio”, mentre i classici quarti di bue si trasformano, quasi per una strana forma di par condicio, in “quarti di buesse sanguinose” ed i cupidi ci vengono presentati come “frecciatori dal culetto nudo”.
Ad un primo impatto questo modo di esprimersi può lasciare perplessi o addirittura infastidire, ma se si riesce a vincere il pregiudizio iniziale, rinunciando ad un confronto impossibile quanto insensato con Mogol, e ad ascoltare attentamente un prodotto musicale che chiaramente non è di immediata comprensione, si scoprirà un mondo che può piacere o no, ma sicuramente incuriosisce, affascina, lascia il segno.

Cosa succederà alla Ragazza

Per dare un’idea un po’ più precisa di quanto detto sin ora, concentriamo adesso la nostra attenzione sull’album “Cosa succederà alla Ragazza”, il penultimo dell’intera carriera di Battisti e senz’altro il più rappresentativo della sua collaborazione con Panella. È in esso, infatti, che tutte le caratteristiche di questa fase artistica raggiungono l’apice, a cominciare dalla copertina: sfondo completamente bianco; in alto, a caratteri piccoli, il nome dell’autore; al centro, scritto a mano con una grafia svogliata, l’acronimo del titolo: C.S.A.R.

Lucio Battisti - Cosa Succedera Alla Ragazza - Front

Le tracce sono otto (come, del resto, in tutti gli altri LP del periodo bianco) e sono fortemente influenzate dai generi elettronici più in voga in quegli anni. Troviamo, ad esempio, sonorità tipiche del rap nei brani “Cosa farà di nuovo” ed “Ecco i negozi”; in quest’ultimo, in particolare, l’interpretazione è quasi parlata. Ne “I sacchi della posta”, invece, i giri di tastiera si richiamano molto alla cosiddetta eurodance, altro genere musicale molto diffuso nei primi anni novanta e nato come emanazione della italo-disco del decennio precedente (ribadiamo, però, che nel caso di Battisti è improprio, o quantomeno riduttivo, parlare di musica dance, disco e affini).
Più melodica, almeno relativamente al contesto di cui stiamo parlando, è la canzone “La metro eccetera”, che già al primo ascolto ci ha fatto pensare subito agli 883 e al loro stile un po’ “da stadio”. È con una certa sorpresa che, dopo aver fatto un accostamento apparentemente così improbabile, abbiamo scoperto che nel 2006 Max Pezzali ha inciso una cover proprio di questo brano, ottenendo per giunta un lavoro più che accettabile.

I testi del disco

In tutti i testi di “Cosa succederà alla ragazza” Panella mantiene, anzi accentua, la propria impronta caratteristica, di cui ci siamo già concessi qualche assaggio. Il tema comune alle otto tracce è la presenza, più o meno marcata, di una nebulosa figura femminile: non si tratta di una ragazza in particolare, ma del concetto astratto di donna in tutte le sue connotazioni e sfumature. Un aspetto che viene molto enfatizzato è quello della bellezza femminile e dei suoi effetti, soprattutto di come questa dote possa trasformarsi in una forma di schiavitù ed oppressione.

Sotto questo punto di vista, il pezzo più interessante da analizzare è quello che apre l’album e che gli dà il titolo. L’intero brano sembra voler trasmettere, sempre per mezzo di concetti frammentari e sublimati da immagini della quotidianità, l’ansia che può provare una donna che sente ogni giorno su di sé il peso di tutti i desideri e di tutte le aspettative degli uomini che la circondano e, più in generale, della società in cui vive.

La title track

Si inizia con la scena di un uomo che, al mattino, si fa la barba. Un tipico gesto maschile come tanti altri, ma l’inquietante verso “rasoiate che sono orli di gonna” ci fa ricordare, con un po’ di fantasia interpretativa, che il rasoio è anche l’arma del vile che uccide a tradimento, del maschio abbrutito, del maniaco che sfregia.
Difficile, poi, non attribuire un significato allusivo ad elementi apparentemente scorrelati, come gli “uccelli appostatissimi nell’aria”, i “chiodi senza quadri alle pareti”, “le corna come i tori”, “i pesci”…
Non dimentichiamo, però, che la femmina non è soltanto oggetto di desideri morbosi: a lei è stato anche assegnato l’oneroso compito di madre, richiamato dal passo in cui la luce del nuovo giorno “ha ancora sonno ma si dà un tono da ostetrica che è urgente, apre gli occhi sul mondo partoriente ed è a disposizione”.
Il desiderio torna tuttavia a prevalere, sempre più chiaro ed ossessivo, in versi come:

Che la vogliono far bollire,
che la vogliono suonare
appesa al campanile […]
Che la vogliono un po’ scoperta per accertare,
che la vogliono nell’ascensore
per implorarla da che piano a che piano […]
Che la vogliono ricoprire di cioccolata,
che la vogliono servire in bocca,
ad una bocca sterminata di forno…

Quest’ultima immagine gioca su un’inversione di significato: sembra, all’inizio, che si voglia servire qualcosa in bocca alla ragazza (con tutte le interpretazioni oscene che ne conseguono), in realtà si scopre che è lei ad essere sacrificata ad una bocca di forno. Metafora di una donna che la società tradizionale ha relegato al ruolo di casalinga, imprigionandola tra un fornello ed una lavatrice, oppure massimo esaudimento di una concupiscenza famelica e predatoria nei suoi confronti?
In ogni caso, è impossibile non condividere il commento con cui si conclude bruscamente la canzone: “Che cosa le tocca sentire, che cosa!”.

In conclusione…

Bene, è arrivato anche per noi il momento di concludere. Se non siamo riusciti a presentarvi in maniera soddisfacente un aspetto poco noto di un cantante conosciuto da tutti, speriamo almeno di avervi fatto venire un po’ di curiosità sull’argomento. Del resto, dopo aver scoperto che il timido e scontroso Battisti è riuscito ad interpretare nientemeno che la parte di Don Giovanni, viene davvero spontaneo chiedersi: “Cosa succederà alla ragazza?”.

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Ha sprecato gran parte della vita facendo cose inutili e cercando in tutti i modi di boicottare la propria felicità. Nei rari momenti di ispirazione, però, scrive per TomTomRock concentrandosi soprattutto sulle sonorità disco, new wave, synth-pop e elettroniche in genere del periodo ‘70-’80. Degli stessi anni apprezza anche la musica cantautoriale italiana, ma chi gli vuole davvero bene sa che non bisogna fargliela ascoltare, altrimenti diventa malinconico. Disprezza apertamente tutto ciò che è contemporaneo e alla moda, però in gran segreto segue le novità sperimentali e di nicchia del panorama underground genovese. Ha una scrivania in finto legno piuttosto economica e una libreria in noce massello, della quale va molto orgoglioso.

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