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All’improvviso Dr. Dre annuncia la release del suo nuovo disco e diventa difficile parlare d’altro almeno in ambito rap. Però ci proviamo.

Dr. Dre – Compton

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Straight Outta Compton! urlavano spavaldi gli N.W.A. nel 1988; alla loro breve ma rivoluzionaria avventura viene dedicata una biopic che esce negli USA a fine mese, e insieme a questa ecco a sorpresa Compton (Aftermath / Interscope), nuovo e forse ultimo disco di Dr. Dre. Compton sostituisce Detox (progetto lungamente atteso e ormai messo da parte da un Dre insoddisfatto) e non è chiaro se le canzoni in esso contenute fanno parte della colonna sonora del film, che a sua volta dovrà proporre la produzione dell’epoca. Poco importa, in fondo, perché Compton vive benissimo da solo, anzi è cosa molto diversa dal suono della band giovanile di Dre, così come dai suoi due grandi dischi da solista: The Chronic e 2001. Nessuno fra i nuovi brani è in grado di competere, come singolo, con Nothing But A G Thang, Still D.R.E. o Forgot About D.R.E.; l’era del g-funk e delle auto lowriders, salvo revival, sembra finita e non solo per Dre: gli artisti di ambito rap che più hanno colpito e sorpreso quest’anno, ossia Kendrick Lamar e A$AP Rocky, hanno sfornato dischi che contengono esattamente le stesse caratteristiche, cioè valgono nell’insieme e non per singoloni eclatanti. Inoltre, il suono di Compton, pur mantenendo richiami (anche nei testi) alle precedenti produzioni di Dre, guarda soprattutto alla contemporaneità ed evita così il rischio di eccedere in autoindulgenza; è a tratti melodico, a tratti ruvido, articolato e quasi privo di momenti fiacchi, pur sulla lunghezza di sedici canzoni.

Una cosa in comune con i due precedenti però c’è, ed è la centralità di una star del momento: Snoop Dogg in The Chronic, Eminem in 2001, oggi tocca a Kendrick, l’artista che ha dato nuovo lustro a Compton, la “città dei campioni”, come si legge sul cartello all’ingresso del sobborgo losangelino. Genocide, Darkside e Deep Water sono le canzoni che lo vedono protagonista, e sono anche fra gli episodi migliori. Ma occhio anche a una nuova, possibile stella in ascesa: Anderson .Paak, che compare in molti momenti, e che trionfa su All In A Day’s Work e Animals. La prima è un dialogo serrato fra il rap di Dre il cantato di Anderson, nel quale quest’ultimo sfodera una voce soul da brivido; la seconda è la prima e già storica collaborazione fra Dre e Dj Premier, con un testo molto bello sulle violenze della polizia. Naturalmente non mancano i vecchi amici: Snoop, Eminem, Ice Cube, Xibit e altri ancora, più alcuni giovani come King Mez e Justus, probabilmente fra i parolieri di Dre, e alcune voci dell’ r’n’b che cercano di non far rimpiangere troppo lo scomparso Nate Dogg. Il risultato è un vero trionfo; bene ha fatto Dr. Dre a metter da parte un progetto (Detox) che ormai lo incatenava al passato e a lanciarsi in qualcosa che al contempo celebra ciò che è stato e lo mette alla pari con la migliore produzione contemporanea. Se davvero è il suo grand finale, se ne sarà andato con lo stesso stile con il quale era arrivato straight outta compton.

8,5/10

Future – DS2

Future Ds2 rap

DS2 – per Dirty Sprite 2 – (Epic) è solo il terzo album di studio per Future, ma mixtapes e collaborazioni a non finire lo rendono fra i rapper più presenti sulla scena di questi anni. La sua ultima uscita è in netto contrasto con il precedente Honest: via tutti gli ospiti, con l’eccezione di Drake, peraltro su un unico brano, e riflettori solo su di lui. L’effetto che vi farà dipende da quanto può piacervi la trap music, perché sostanzialmente l’intero disco si basa su beats scarni e martellanti, e suoni elettronici. Lo stile di Future, l’uso costante dell’autotune non per mantenere il pitch (non canta) ma per rendere più tenebroso il risultato, se può dare una bella spinta a canzoni altrui (All Day di Kanye West, Fine Whine di A$AP Rocky, tanto per ricordarne due recentissime), può riuscire monotona sulla lunga durata. Insomma, un disco da prendere o lasciare; però almeno I Serve The Base e Stick Talk sono indubbiamente efficaci e possono servire a introdurre nell’universo oscuro di Future.

6,9/10

Ghostface Killah & Adrian YoungeTwelve Reasons to Die II

Ghostface rap

Ghostface Killah & Adrian Younge sono al secondo capitolo della loro collaborazione: Twelve Reasons to Die II (Linear Labs) segue il primo volume, mantenendo uguale la consistenza, anzi migliorando il livello generale delle composizioni e delle collaborazioni; Raekwon e RZA in primo luogo, ma anche il giovane talento di Vince Staples. Il disco ovviamente non può che richiamare il Wu-Tang Clan, tanto nelle atmosfere quanto nei testi, che riprendono il gusto dell’infaticabile Ghostface Killah per una criminalità organizzata rivista alla luce dell’iperrealismo fumettistico più che del realismo di altre produzioni rap. Sebbene il recente video di minacce a Action Bronson, peraltro molto divertente, farebbe pensare differentemente. Alla fine un prodotto di genere, ma solido e a tratti (King Of New York e soprattutto la bellissima Let The Record Spin) degno della migliore tradizione del Clan.

7,2/10

Hopsin – Pound Syndrome

Hopsin

Lo stile rap di Hopsin deve non poco a quello di Eminem: veloce e tecnico, è certamente un buon rapper, come dimostra il nuovo Pound Syndrome (Funk Volume / Warner Bros); ma al contrario del modello, il rapper di Los Angeles è autore di un hip-hop socialmente coinvolto. I risultati sono alterni; qualche momento troppo zuccherino non convince, come l’inizio cantato di No Hope. Il risultato è più che sufficiente: difficile non farsi coinvolgere dal ritmo serrato di Fort Collins, altrettanto difficile trovare all’altezza il refrain della stessa. Alla fine forse Hopsin avrebbe bisogno di un produttore (si occupa quasi interamente lui delle basi) che possa inserire le sue capacità di rapper in un quadro musicale più interessante.

6,5/10  

The Internet – Ego Death

The Internet

The Internet è una delle molte filiazioni del collettivo Odd Future, guidata da Syd the Kyd and Matt Martians; niente a che vedere con il rap oscuro di Tyler ed Earl, qui la strada è quella del moderno r’n’b con basi morbide e voci che si intrecciano. Ego Death (Odd Future / Columbia) è già un lavoro collettivo, quindi gli ospiti non sono poi molti: vale la pena di ricordare almeno Janelle Monáe e lo stesso Tyler, The Creator sulla conclusiva Palace/Curse, dove si esibisce in una breve parte cantata che, con la sua voce bassa, assomiglia in modo preoccupante a Barry White. Il resto si muove in ambito hip-hop mescolando cantato (prevalente) e rap; siamo molto lontanti dall’intensità di Frank Ocean o di The Weeknd, perché Syd & Co. scelgono una formula sensuale, ma estremamente quieta nei toni: l’iniziale Get Away, Girl o Special Affair potrebbero essere i brani chiave; all’inizio può spiazzare, ma con gli ascolti cresce; certo, ogni tanto si vorrebbero trovare picchi, asprezze, ma questa è evidentemente la scelta del gruppo che sta al genere r’n’b come Mac DeMarco al rock. Un’ultima nota per dire che, se il collettivo Odd Future, come pare, non esiste più, i suoi frutti sono più interessanti di ciò che aveva espresso in quanto unità; non solo musicalmente, ma pure sotto il profilo del costume: se Frank Ocean ha costituito una gradita novità, la sensualità omoerotica di The Internet (questa volta declinata al femminile) non è da meno.

7/10

Public EnemyMan Plans God Laughs

Public Enemy Man Plans

In una rubrica che assegna un voto molto alto al nuovo Dr. Dre piacerebbe poter fare lo stesso con l’ultimo Public Enemy, Man Plans God Laughs (Spitdigital), che esce pochi mesi dopo le riedizioni dei due grandi classici della band: It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back e Fear Of A Black Planet. Il contrasto è forte perché la band continua a percorrere la stessa strada, con gli stessi toni politicamente forti, peraltro necessari oggi almeno quanto lo erano ca 1990; ma dal punto di vista musicale Man Plans è veramente troppo alterno per convincere totalmente: alcune scelte, come il campionamento/cover di Honky Tonk Women su Honky Talk Rules, sono incredibilmente sbagliate; altrove (Give Peace a Damn, Corplantationopoly, Earthizen, Mine Again) il disco funziona meglio; la conclusiva Praise The Loud, tutta beats e scratches, ricorda più da vicino quanto potevano esser potenti un tempo i Public Enemy. Forse la produzione della Bomb Squad, ai bei tempi assolutamente innovativa, avrebbe bisogno di nuova linfa, di qualcuno in grado di far ritrovare ai Public Enemy la potenza e la concisione che li distinguevano e li innalzavano su tutti gli altri.

6,5/10

Southpaw

Southpaw

Southpaw (Shady / Interscope) è il disco che accompagna il film omonimo (in Italia: L’ultima sfida ) di Antoine Fuqua; il ruolo di Eminem va oltre quello di produttore: interessato sin dall’inizio al progetto cinematografico, per un po’ è sembrato potesse addirittura recitare come protagonista, ruolo poi andato a Jake Gyllenhaal. Si limita invece a curare il disco che è in parte colonna sonora (alcuni brani si sentono durante le due ore del film), in parte musica ispirata dal film; la colonna sonora con le musiche originali è invece di James Horner. Ovviamente, data la natura del progetto, stili e qualità variano. Eminem offre un paio di brani destinati a successo commerciale sicuro: Phenomenal e Kings Never Die (quest’ultimo con Gwen Stefani), il primo migliore del secondo, ma nessuno dei due destinato a essere una pietra miliare nel suo repertorio; collabora poi a un paio di brani di Bad Meets Evil. Tutto sommato fanno meglio altri: Busta Rhymes, KXNG CROOKED and Tech N9ne vanno alla velocità della luce sulla base di Beast di Rob Bailey and The Hustle Standard; il risultato è metal-rap estremamente divertente; ottimi anche gli interventi di Slaugtherhouse, Action Bronson + Joey Bada$$, e The Weeknd, niente male anche PRhyme e persino 50 Cent, che in Southpaw ha un ruolo importante come attore. Alla fine l’insieme riesce a intrattenere molto piacevolmente e a fornire una cornice sonora adatta all’interno del film.

7,2/10

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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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