Bruce Springsteen concerto

Dal discusso concerto di Ferrara al Circo Massimo di Roma: Bruce Springsteen.

Al Circo Massimo di Roma, il 21 maggio 2023, si è consumata la seconda e penultima data del passaggio italiano di Bruce Springsteen, dopo Ferrara e prima della chiusura estiva di Monza. Dato che più di una polemica ha circolato, e in più di uno si sono espressi, non si può fare a meno di dire la nostra. E la diciamo iniziando col dispiacerci di non condividere, per una volta, il contenuto dell’articolo di Carlo Massarini su “La Stampa” a proposito del presunto deficit di solidarietà verso il nostro Paese di cui Springsteen si sarebbe macchiato nel concerto di Ferrara.

Chi scrive pensa che Bruce Springsteen non sia un papa straniero a cui mettere in mano la bacchetta magica della sensibilizzazione pubblica (peggio ancora della beneficienza) ed è convinto che la questione non sia affatto il silenzio di una grande rock star del New Jersey sulla tragedia alluvionale che ha piegato l’Italia, ma piuttosto la responsabilità di una classe politica ed economica che ha lasciato che si compissero, negli ultimi settant’anni e fino ad oggi, scempi ambientali di ogni sorta, in nome di uno sviluppo famelico, incontrollato e di frequente in mano a gruppi criminali. Il resto sono, a parer nostro, chiacchiere.

Springsteen è un cantante, che ha cantano per cinquant’anni la frustrazione e l’ansia di riscatto della working class americana, di un mondo operaio calpestato dalle logiche feroci del capitalismo, le mille piaghe da incubo dell’American dream, i risvolti tragici del militarismo USA, lo sbando di una generazione delusa di veterani, non scordando mai i mille Johnny 99 che si sono spersi lungo le rotaie storte o morte della vita. Nel caso di Springsteen, insomma, guarderei la luna e lascerei ad altri il dito.

Il concerto

Venendo alla musica, la questione ci pare semplice. C’è ancora vita, cuore, forza e grande rispetto per il pubblico di un concerto di Bruce Springsteen; molta più forza di quanto non ce ne sia nei suoi ultimi dischi. Dischi che neanche sotto tortura accetterò mai di definire grandi e nemmeno belli; dischi che non sono l’indizio promettente di una nuova primavera, ma la decorsa conferma, fatti non pochi passi falsi, di un declino creativo che, dopo Born In The Usa, ha iniziato ad operare trovando sempre minori anticorpi.

E in concerto al Circo Massimo c’era tutto il Bruce Springsteen che serviva e che era lecito attendersi. La potenza di fuoco della E-Street Band, una live machine impeccabile che ripete da decenni il proprio rituale, tra molti pregi di sostanza e qualche difetto di forma; una gestualità codificata, attesa e riconosciuta, e, in fondo a tutto, la consapevolezza che sarà pure only rock ‘n’ roll, ma per continuare a piacere, dopo mezzo secolo, prima ancora deve essere un compito ben svolto da un grande intrattenitore, complice come pochi altri, da sempre, del proprio pubblico. Una sola caduta di stile: la chitarra con i colori della bandiera ucraina sfoggiata da Little Steven. Non se ne può più.

Non tutto splende, ma Bruce Springsteen c’è

Tre ore filate di concerto, dunque. Il momento musicalmente più debole in apertura, con la non sfolgorante My Love Will Not Let You Down (già in Tracks) e la dimenticabile Death To My Hometown dal modesto Wrecking Ball, ma è naturalmente tutto il filo della produzione post 1984 a tessere la tela più debole del concerto, da Ghosts a Letter To You a Wrecking Ball, oggetto quest’ultima di una non pienamente comprensibile eccitazione da parte dei presenti.

Decisamente bella la sequenza di Kitty’s Back, Mary’s Place e The E Street Shuffle, satura di umori jazz e soul. Piazzata al centro, un’assai convincente e coinvolgente Nightshift, che nell’orrido album di cover Only The Strong Survive si era aggiudicata a quattro mani il rispetto dovuto ai peggiori. Debordante di energia il bis, da Born In The Usa (con le corde vocali di Bruce sul punto di esplodere) fino a Tenth Avenue Freeze-Out.

Due parole sulla voce di Bruce Springsteen, quindi, anch’essa oggetto di polemica e preoccupazione pubblica. Buone notizie:  c’è ancora, tiene, flette ma non crolla, e prima di cadere, scalpita e si ribella. Se in Only The Strong Survive si era sentito uno Springsteen allo zenith delle proprie capacità interpretative e vocali, nella calca assai composta del Circo Massimo si è potuto tirare un gran sospiro di sollievo (utile anche a maledire ad alta voce le pessime produzioni e i pessimi arrangiamenti che soffocano troppo spesso le registrazioni in studio).

Ispirato e dolente il dittico acustico, spalmato a debita distanza e composto di Last Man Standing e I’ll See You In My Dreams. Sono entrambe canzoni di modesta fattura, dedicate rispettivamente alla memoria di George Theiss e di Michael Gudinski, amici più e meno antichi che se ne sono andati lungo la strada. Prese entrambe dal cappello tutt’altro che fatato di Letter To You, sono però lo sparo nel buio che illumina la certezza di essere ormai il sopravvissuto di un tempo che si consuma rapido e del quale non resta che la vecchiaia. Ben scolpita sul volto di Springsteen, consapevole, come ha detto introducendo Last Man Standing, che l’ultimo regalo che la morte fa agli uomini è di consentire loro una più ampia visione della vita. Ricordandoci così, nel bel mezzo della festa più chiassosa, e con la consueta onestà, che il suo personale, segreto colloquio con quel che verrà dopo è già iniziato da tempo.

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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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