26 febbraio 2022: il concerto dei Sons of Kemet in una Roundhouse gremita.
Il ritorno a uno spettacolo live non avrebbe potuto essere migliore: i Sons of Kemet alla Roundhouse, ovvero la band il cui disco è arrivato in cima alla classifica di TomTomRock 2021, in una delle sale da concerti più belle. Un concerto lungamente atteso, peraltro, poiché i Sons of Kemet avevano in programma un tour italiano la scorsa estate, poi tristamente cancellato per la situazione che tutti conosciamo. Il concerto a Londra, insomma, era atteso per tante ragioni. In una sala che accoglie 1500 persone, sedute e in piedi, il pubblico arriva lentamente dopo l’apertura delle porte alle 19, seguendo il DJ set di Alex Rita & Errol e soprattutto la rapper Lex Amor, davvero niente male, hip-hop con un tocco trip e jazz, accompagnata da due strumentisti: un’artista da seguire.
Dopo una breve introduzione, ecco Sons of Kemet sul palco
Sono passate da poco le nove e sul palco ecco salire Joshua Idehen, poeta inglese che introduce i Sons of Kemet con alcune ‘istruzioni’ per il pubblico, subito seguito da Shabaka Hutchings accompagnato da Theon Cross alla tuba e dai due batteristi Tom Skinner ed Eddie Hick. Visto che l’introduzione c’è già stata, il quartetto attacca subito con la musica. E in realtà, tranne che per una breve presentazione dei musicisti verso la fine, Shabaka e gli altri non parlano mai.
D’altro canto, come potrebbero? Il concerto non prevede alcuna pausa fra un brano e l’altro, l’annuncio dei pezzi è dato dalle scritte sull’acceso rosso della copertina del disco che fa da sfondo, mentre i quattro suonano a un ritmo davvero serrato, quasi impossibile da sostenere, mettendo in scena una furia che potremmo definire punk. Non certo nel senso dell’improvvisazione, perché si tratta al contrario di musicisti dalla tecnica eccellente, che certamente è ciò che li sostiene. Però la grinta, lo spirito con il quale suonano richiama un’urgenza che è difficile vedere in questo (e forse in molti altri) ambiti musicali.
Un concerto che suona come una festa
Il nucleo forte del concerto è dato dai brani dell’ultimo Black to the Future, soprattutto nella fulminante fase inziale dello show, che allinea In Remembrance of Those Fallen, Throughout the Madness, Stay Strong e To Never Forget the Source. Si ripesca anche nel passato, con In Memory of Samir Awad (adolescente palestinese assassinato dai soldati israeliani) e Afrofuturism da Lest We Forget What We Came Here to Do. Mancano i brani cantati di Black to the Future, con l’eccezione di Field Negus, interpretata in studio come dal vivo da Joshua Idehen. Non se ne sente la mancanza, dal momento che la militanza dei Sons of Kemet si esprime con chiarezza anche così; e poi perché la musica prodotta dai quattro, con i dialoghi fra sax e tuba, riempie completamente la scena; la ritmica assicurata dai due batteristi, ma anche dal basso tuba dell’incredibile Cross, fa che il concerto sia in larga parte ballabile, come una festa, una celebrazione, un carnevale nel quale è lecito scatenarsi, dopo un periodo arido di esperienze live come quello dal quale stiamo, si spera, uscendo.