Salutata da lodi sperticate che per fortuna non includono il taglio di capelli sfoggiato in copertina, Angel Olsen ha inciso con My Woman un disco in effetti notevole. Non eccezionale, però.
Il folk degli esordi è ora piuttosto lontano
In questo suo terzo lavoro Olsen cambia molte cose rispetto al folk nervoso del precedente Burn Your Fire For No Witness e si muove ora con sicurezza e personalità in un ambito a grande rischio di di cliché come il rock autoriale. L’iniziale Intern spiazza un po’ con i suoi languidi toni anni ’80, ma serve a rendere più efficace quel che arriva subito dopo. La successiva Never Be Mine dà infatti il via a una sequenza di quattro brani davvero coinvolgenti. Voce decisa come non mai, hook tonici e modi spicci. E anche i testi si adeguano al nuovo stile (“Sta zitto, baciami, tienimi stretta”).
My Woman è un disco a due facce
Se questa può essere definita la parte dell’opera che dialoga con il mondo maschile, la seconda metà di My Woman è fatta di riflessioni dai toni più interiori. Anche la musica rallenta il passo, assumendo una dimensione fluttuante e dilatata. Peccato che non sempre le melodie reggano questo tipo di approccio e il disco si faccia a tratti statico. In più non paiono troppo motivati sia l’ampio uso di effetti sulla voce sia certi guizzi strumentali come il buffo attacco in stile Tangerine Dream (!) della title-track. Convince invece la conclusiva Pops, per sola voce e piano.
Angel Olsen possiede talento e personalità. Deve solo strutturarli meglio oppure privilegiare la sua parte PJ Harvey rispetto a quella Fleetwood Mac. E cambiare parrucchiere.
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