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di Marina Montesano

Nonostante Eminem sia sostanzialmente sparito dai radar della critica musicale indie degli ultimi anni, che sembra averlo relegato a puro fenomeno mainstream pop, prima di cominciare questa recensione è opportuno ricordare due cose: 1. per una lunga serie di motivi, nell’hip-hop esiste un avanti e un dopo Eminem; 2. il rapper di Detroit è ancora in grado di attrarre un’attenzione straordinaria, come hanno dimostrato la scorsa estate gli ottantamila di Dublino e gli oltre settantamila di Parigi.
Nel 2010 Recovery è stato un successo commerciale notevole, anche se musicalmente era un disco gradevole e tuttavia non eccezionale, migliore di Relapse, ma certo lontano dai trionfi della trilogia prodotta da Eminem tra 1999 e 2002. Chiamare il nuovo disco Marshall Mathers LP 2, cioè ricollegarsi idealmente al suo capolavoro del 2001, ha fatto pensare a un’ambizione a tornare ai livelli del passato che ha creato attesa, ma anche non poco scetticismo. Qualche mese prima della pubblicazione, Berzerk lasciava ben sperare e allo stesso tempo spiazzava: prodotta da Rick Rubin con lo stile inconfondibile dei Beastie Boys, nel suono e nel video il brano rinviava a un vintage che però non è mai stato quello di Eminem, il quale, pur ammirando i BB, agli esordi aveva volutamente evitato qualsiasi rimando al rap bianco e intellettuale dei newyorkesi.
Poi è arrivata Survival, altrettanto datata nel suono, ma questa volta più vicina alla tradizione LL Cool J – Run DMC, altre passioni giovanili di Eminem: il rap-rock, esperimento non duraturo e sovente infelice, che però Eminem aveva interpretato bene nella ‘Till I Collapse di The Eminem Show, rispetto alla quale la solidissima Survival si pone come degna continuatrice. Il terzo singolo, Rap God, andava in una direzione ancora differente: una base scarna sulla quale il flow di Eminem viaggia talmente veloce (97 parole in 15 secondi) da superare a tratti la capacità di seguire lo scritto. Un dio del rap, almeno sotto il profilo tecnico, Eminem lo è stato senza ombra di dubbio, e qui testimonia che quella capacità non è andata persa; ma allo stesso tempo è conscio che la sfida è alta: “Rappers are hungry looking at me like it’s lunchtime” (“I rapper sono affamati, mi guardano come se fosse ora di pranzo”).
E dunque ecco MMLP2: sulla copertina la vecchia casa dell’infanza a Detroit, quella che campeggiava già sul Marshall Mathers LP (1), ancora più scassata di allora e qualche giorno orsono anche scomparsa fra le fiamme. “Speramus meliora / resurget cineribus” (“Speriamo nel meglio / Risorgerà dalle ceneri”) è, di questi tempi quasi comicamente, il motto di Detroit, riprodotto anche sul CD; ed è noto come, nonostante le ricchezze accumulate, Eminem non si sia mai voluto allontanare da questo rudere di città in bancarotta che senza ombra di dubbio ama. Che non manchi la genuinità a questo rapper ultrafamoso è certo: in tempi in cui Kanye West vorrebbe disegnare vestiti e Jay Z collezionare arte, Em confessa di essere ancora puro white trash: “Welfare mentality helps to keep me grounded / that’s why I never take full advantage of wealth / I managed to dwell within these parameters/ still cramming the shelves full of hamburger helper” (“La mentalità dell’assistenza sociale è ciò che mi tiene ancorato a terra / ecco perché non traggo mai pienamente vantaggio dalla ricchezza / ho provato a muovermi dentro questi parametri / ma ho ancora gli scaffali pieni di hamburger helper” – noto marchio di junk food).
Anche oltre la copertina, però, i richiami al passato glorioso non mancano; Eminem gioca la carta del quarantunenne che non si ritrova nel mondo attuale: “Got friends on facebook, all over the world / Not sure what that means, they tell me it’s good” (“Ho amici su facebook, sparsi in tutto il mondo / Non sono sicuro di cosa significa, mi dicono sia bene”), ma soprattutto riprende il discorso lì dove l’aveva lasciato con The Eminem Show. Un blend geniale di pop e hip-hop condito da nonsense, umorismo pesante (e già si risentono le polemiche di un tempo) e un flow che stende qualunque avversario; non per nulla l’unico rapper invitato è Kendrick Lamar, ossia il più dotato della nuova generazione, che appare nella buffa Love Game, altra produzione Rubin, dal sapore falsamente country. Su Rhyme Or Reason, rappata su Time Of The Season degli Zombies, Marshall e Slim Shady si alternano parlando del padre assente; su Headlights si torna ad affrontare il rapporto con la madre, aggiornato al presente, con uno dei testi più laceranti sotto il profilo familiare e sociale che Eminem abbia mai scritto. La formula è la stessa di Stan: ritornelli zuccherini e strofe impressionanti per la destrezza del nostro con le rime e l’esecuzione. Unica pecca sono i tre brani (Legacy, Stronger Than I Was e The Monster con Rihanna) che più da vicino si rifanno a Recovery, quasi che Eminem non abbia saputo trovare del tutto il coraggio per mettere da parte un suono che tanto successo gli ha dato di recente. Molto meglio sarebbe stato inserire i brani della versione deluxe, che naturalmente non viene (almeno al momento) distribuita in Italia.
Il responso, alla fine, non può che essere positivo: MMLP2 non aggiunge niente di sostanziale al canone Eminem. Ma era dal 2002 che non lo sentivamo in tale forma e intensità; e, nonostante questi ultimi anni siano stati generosi per il rap, un nuovo Eminem ancora non s’è visto. Bentornato.

8,3/10

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Eminem – Survival

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