Il ritorno di Gaz Coombes con Matador è una piacevole sorpresa
Ci sono dischi che trovi interessanti già dalle prime note e poi gli ascolti successivi servono solo a confermare quell’impressione iniziale. E’ quanto succede con Matador, seconda prova solista per l’ex Supergrass Gaz Coombes, in parte differente e decisamente migliore rispetto al precedente Here Comes The Bomb. Le prima note sono quelle di Buffalo, lieve elettronica che poi si apre in una melodia epica: ma non è il pezzo più bello, perché le successive 20/20 e The English Ruse sono decisamente fra le composizioni migliori che Gaz Coombes abbia mai scritto, da solo o con i Supergrass. Matador è un disco che osa di più, volgendosi come detto a una strumentazione spesso elettronica; anzi le parti che hanno questa caratteristica (oltre quelle già citate, sicuramente To The Wire) sono le più interessanti, perché altrove (The Girl Who Fell To Earth e Detroit) tutto diventa più consueto, sebbene sempre di fattura pregevole.
Fight Like a Matador!
Come il suo predecessore, anche Matador cerca di conciliare quella che è sempre stata l’essenza del pop inglese con sonorità molto più attuali, rifiutando categoricamente che il suo lavoro venga relegato al rango di semplice pastiche. Ed è anche un disco personale nel vero senso della parola, Matador, perché Gaz Coombes vi suona quasi tutti gli strumenti e produce; la sua voce limpida è invece, ovviamente, una conferma. I’ll take all the pain and the scars of war ‘Cos I’ll face the Beast and fight like a matador, canta nella title track. Nel complesso un disco che va molto al di là di quanto fosse lecito aspettarsi.
7,5/10