di Marina Montesano
Il produttore inglese James Greenwood, aka Ghost Culture, esordisce con un disco omonimo che sta suscitanto non poco interesse perché riesce a unire con una buona dose di maturità un suono vintage con istanze più contemporanee. I fan nuovi e vecchi dei Depeche Mode troveranno sicuramente molti momenti familiari in Ghost Culture, che tuttavia filtra l’esuberanza dance attraverso una lente “matematica” (o “metamatica”) che non sarebbe dispiaciuta a John Foxx. Greenwood ha una voce suadente e i brani cantati sono anche quelli più interessanti e compiuti. A tratti il disco ha un’eleganza sobria che colpisce, magari senza troppo emozionare (Mouth, Giudecca); altrove (How, ma soprattutto The Fog e Glaciers) Ghost Culture prende la strada della ballata nostalgica a dispetto dell’elettronica, e lascia intravedere un talento che potrebbe svilupparsi in varie direzioni.
7,6/10
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Ghost Culture – Giudecca