di Antonio Vivaldi
I Mudhoney erano i duri e puri del grunge, mentre Nirvana, Screaming Trees e Pearl Jam rappresentavano l’ala creativa, anche dal punto di vista finanziario, del movimento. Oggi Nirvana e Screaming Trees non ci sono più (i primi in più di un senso), mentre i Pearl Jam sono una valida band mainstream che fa un disco ogni tanto. I Mudhoney invece restano sempre loro: aspri e rabbiosi come ai tempi dell’epico-straziante singolo Touch Me I’m Sick e solo un po’ più attenti ai suoni e alla produzione. Vanishing Point festeggia le nozze d’argento del gruppo con il garage punk (il grunge nemmeno lo si nomina più) e snocciola dieci pezzi al solito tonici e sardonici che dimostrano una sapiente gestione del rapporto fra mezza età e adrenalina. Per affetto (nostro) e meriti acquisiti (loro), già per questo ci si potrebbe tranquillamente accontentare; in realtà Mark Arm e i suoi stavolta ci mettono qualcosa in più: almeno metà delle canzoni risultano strutturalmente magistrali (magari senza volerlo) e spiegano ai giovani come si accosta un riff a un ritornello breve ed efficace, magari inserendo versi socialmente pregnanti (I Like It Small, Chardonnay) o aggiungendo un tocco apocalittico (In This Rubber Tomb) o epico (Sing This Song of Joy) – il tutto sempre in tre minuti al massimo. Se ai Mudhoney dicessimo “siete dei maestri”, probabilmente si metterebbero a ridere, però questo sono: bravi maestri di musica cattiva e sana.
Il disco esce il 1° aprile.
7,5/10
httpv://www.youtube.com/watch?v=qreEZ6oNB3A
Mudhoney – I Like It Small