radical face 2

radical face 2

Il roots di Radical Face – The Family Tree: The Branches.

Il passatismo maniacale è stato uno dei tratti caratteristici degli anni ’00 sonori di questo secolo. Tale morbo  si è spesso manifestato sotto forma di barbe da predicatore cinquantenne su facce da studente ventenne, abbigliamento rubato al bisnonno che tanto ormai sta sempre in pigiama e ascolti ossessivi dei primi due album della Band (c’erano anche forme più perniciose: qualche anno fa Cass McCombs pretese che le interviste gli venissero fatte con lettera scritta a penna anziché tramite e-mail). I risultati  dell’operazione roots non sono stati comunque malaccio e Fleet Foxes, Mumford & Sons, Joanna Newsom e Bon Iver si sono anche ritagliati un ruolo da stelline pop.

Ultimamente sembrava che il trend stesse diventando meno trendy quand’ecco un titolo del Corriere della Sera (nientemeno!) del 5 novembre 2013  annunciare: “Radical Face: il ‘letterato’ del folk che suona solo strumenti usati”. Si fanno subito ulteriori indagini e da altre fonti si scopre che Radical Face (vero nome Ben Cooper) utilizza strumenti che fossero disponibili in un’epoca compresa fra il 1860 e il 1910 e che questo The Family Tree: The Branches è la seconda parte di una trilogia dedicata a una famiglia fittizia dell’Ottocento statunitense,  i Northcotes.

Canzoni evocative per Radical Face

Tutta la faccenda, più che far tornare al 1860, sembra riportarci al 2007 quando questo approccio non era ancora abusato (discorso simile per il neo-gotico americano di tanti apprendisti psicotici) e lo stesso Cooper aveva già inciso un buon disco dai presupposti simili intitolato Ghost. E qui, quando l’annoiato stroncone è bell’e pronto, arriva la sorpresa:  il Radical Face di The Branches può parlare di ciò che vuole, utilizzare gli strumenti che più gli garbano, tanto non è questa la cosa importante.

Qui si ascolta infatti uno scrittore cresciuto in modo sorprendente e fascinoso. Certo, si tratta di canzoni con una forte componente evocativa e, come da ‘mission’, a tratti nostalgica (We All Go The Same), ma al tempo stesso vitali, vivaci, scorrevoli e dotate di un’ampiezza melodica che in ambito indie sembra mancare anche a personaggi più noti  (Vampire Weekend inclusi, tanto per fare un nome con il quale sono percepibili affinità soprattutto in ambito vocale).  Quasi certamente The Branches è il miglior disco di buone maniere del 2013.

8/10

print

Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.