In Ison Abadir ricrea, fra reale e immaginario, una liturgia elettronica.
Abadir è un musicista, produttore e sound designer egiziano, ora di stanza a Berlino, che agisce nell’ambito della musica elettronica. Dopo Mutate, uscito l’anno scorso, Ison è il suo secondo lavoro per la label di Shanghai SVBKVLT e risulta per molti aspetti diverso dal precedente: lì prevaleva una miscela di musica da club e ritmi egiziani, squarciata da sonorità industrial e noise, qui invece siamo su un territorio in cui memoria, spiritualità, immaginazione contribuiscono a creare un’opera intensa e meditativa.
Abadir viene da una famiglia cristiana cresciuta nel quartiere di Heliopolis al Cairo, Ison è un viaggio dentro i ricordi del passato, dei suoni, delle musiche, delle emozioni provate andando alle messe domenicali nelle diverse chiese cristiane; “Utilizzando segmenti e registrazioni sul campo di cori copti, siriaci, maroniti, greco-ortodossi e cattolici, presento la mia visione di quelli che possono essere descritti come nuovi inni, canti immaginari o parti di una messa domenicale contemporanea.”
Ison viaggia fra spiritualità e irrequietezza
Sin dalla prima traccia, Greeting, 6:40 pm, veniamo introdotti in un’atmosfera profondamente assorta e meditativa, in un tempo indistinto sottolineato dalla solennità dei synth e dalle registrazioni sul campo, dalle campane ai cori, effettuate nella chiesa cattolica di Notre Dame al Cairo. Seguono l’onirica Kyrie, la frammentata e sferragliante Sacraments e The Seven Buildings Interlude resa cupa e inquieta da campane e canti religiosi tagliati e manipolati. Quanto a Agios o Theos, con le sue percussioni martellanti, il canto ipnotico e gli scampanii, fa pensare ai Laibach in ritiro spirituale.
Andando avanti nell’ascolto ci rendiamo sempre più conto che in questi originali canti liturgici elettronici imbastiti da Abadir anche per fare i conti con il suo passato e con la tormentata religiosità della sua terra, vibra una forte irrequietezza. Lo dimostrano i ritmi spezzati di The Syriac Club, ma anche il contrasto tra il canto maronita e le frenetiche e secche percussioni che aprono e chiudono La Mois de Marie, brano dedicato alla memoria della nonna. Holy Week regala un momento di calma, una pausa di riflessione e raccoglimento con i suoi synth ariosi; chiude Dismissal fra cori celestiali, percussioni risonanti e una tastiera che suona come un clavicembalo futuristico.
Ison, il titolo fa riferimento al bordone presente nei canti della chiesa greco-ortodossa, è un lavoro denso, intriso certo di una spiritualità inquieta, ma che non indulge alla nostalgia. Quella della musica religiosa è innanzitutto un’esperienza estetica, un rituale fatto di canti, melodie, cori, registrazioni sul campo e di ritmi pulsanti che a volte ci può spiazzare, condurre dove non ci saremmo aspettati, come nella title track dove il canto liturgico è disturbato da percussioni cupe, bassi corposi, suoni inquieti, quel che ne vien fuori è “un suono immaginario radicato nel presente”.
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