Jonathan Wilson - Eat the Worm

“Non m’interessa il punk” dice Jonathan Wilson. Eat the Worm spiega perché. 

Intervistato da Chiara Meattelli su Rolling Stone, Jonathan Wilson a un certo punto fa un’osservazione sorprendente: “Non m’interessa il punk”.

Per uno che si è rivelato eclettico nell’assorbire e nel rielaborare stili e strutture musicali, al punto da essere credibile quando dice che nel tempo libero dei tour insieme a Roger Waters, con il quale lavora da sette anni, si dedica all’ascolto della disco music di fine anni Settanta alla Arthur Russell, è una dichiarazione forte. Ma basta il primo ascolto al suo nuovo disco Eat the Worm, un magnifico album neo hippie ispirato, avventuroso, pieno di buone vibrazioni e di fantasie epiche tra sonorità spiazzanti e raffinate, per capire che ha detto la verità.

Se Wilson (nessuna parentela con il geniaccio inglese Steven e nemmeno con il mitico Brian) è colui che da una dozzina d’anni ha rinnovato l’epopea di Laurel Canyon con squarci di musica bella e originale tra canzoni d’autore e sensazioni di libertà, non può esserci spazio in quello che fa per sonorità grezze, urbane, monocordi, lacerate. Semmai è eclettica e inusuale la natura del pop che Wilson rimodella nella sua casa studio (di registrazione) dalle parti di Topanga, un villaggio a quaranta chilometri dalla metropoli Los Angeles. Altrettanto si può dire dei disegni animati dei video delle canzoni. Li realizza, ricorrendo anche all’intelligenza artificiale, Andrea Nakhla, l’artista figurativa che è sua moglie.

Tra Robert Wyatt e il fantasma di Pacific Ocean Blue

La logica delle sensazioni evocate dall’accumulo dei suoni è spesso anticonvenzionale, notturna, sebbene si percepisca il sole della California e la varietà umana d’una Los Angeles trasfigurata in un insieme curiosamente classico, a tratti cinematografico. Sono canzoni, per ammissione dell’autore, nate dalla solitudine, dalla possibilità di sperimentare in uno studio di registrazione di proprietà e da un istinto creativo sviluppato senza porre delle limitazioni al tempo. Non mancano l’ironia, l’autoironia e il divertimento. Si viaggia e ci si eleva attraverso le visioni che attraversano, geniali e strambe, la musica.

Tutto inizia con un pianoforte e un’andatura obliqua che non può non richiamare il sentimentalismo austero di Robert Wyatt. A Marzipan, dedicata al cantante inglese Jim Pembroke della band finnica Wigwam, morto due anni fa, seguono i cori e i suoni orchestrali di Bonamossa. Per un attimo tornano in mente certi passaggi del grande disco d’un altro Wilson, Dennis, che fu il batterista dei Beach Boys: una meraviglia, chiamata Pacific Ocean Blue, dimenticata nel sole del 1977.

Alla psichedelia poetica di Ol’ Father Time e di Hollywood Vape, dove i fantasmi sono, per qualche attimo, quelli dei Soft Machine e dei King Crimson intorno al ‘73, si passa a The Village Is Dead, dall’andamento e dall’arrangiamento che fanno ricordare l’Electric Light Orchestra di Jeff Lynne. Ma non si pensi che il citazionismo di Jonathan Wilson, in realtà molto più incidentale di quanto appaia, sia indispensabile per dare identità alle canzoni o per supplire a un’ipotetica carenza d’ispirazione. Si tratta, invece, d’intarsi e schizzi, dovuti alla ricerca e all’assimilazione, che vanno ad arricchire un quadro d’insieme tanto armonioso quanto personale e originale.

Charlie Parker e i racconti dell’età del pop 

Il folk intimista e lievemente acido di Wim Hof e Lo and Behold, quest’ultima con derive orchestrali che fanno pensare al Nick Drake di Bryter Layter, introducono all’immaginario fantastico di Charlie Parker, la canzone che prende il nome dal dio del sassofono che fu tra i padri fondatori del bebop. Gli alti e i bassi della sofferenza di Parker durante la sua esistenza a volte drammatica rappresentano, per Wilson, una maniera di raccontarsi attraverso la musica, in un flusso di coscienza che s’inserisce, piacevolmente, in una sequenza narrativa di grande suggestione e che non manifesta cedimenti.

Il romanticismo trasognato di Hey Love, la cupa e sofferta B.F.F. con cui, menzionando, tra gli altri, John Mayer e il compianto Jerry Garcia, Wilson, attraverso l’ironia, regola conti non si sa quanto reali o immaginari, proseguono una sequenza di racconti dell’età del pop, volendo definire il campionario di meraviglie sonore proprie degli anni Settanta, che di canzone in canzone si rivela sempre più memorabile. Solo su vinile va aggiunta  StudRam, con echi del sound di Canterbury.

East LA e Ridin’ in a Jag completano, con sommessa grazia evocativa e lievi atmosfere western, un disco a tratti strepitoso, sicuramente da considerare tra i migliori pubblicati quest’anno. Si tratta, per il musicista, chitarrista e produttore americano, che attualmente si trova in tour conWaters in America Latina, del sesto lavoro. Molti lo considerano il quinto album solista del quarantottenne Jonathan Wilson dopo tre con il gruppo Muscadine, ma dimenticano il semisconosciuto disco d’esordio del 2007, Frankie Ray. Seguono Gentle Spirit, ‘11, Fanfare, ’13, Rare Birds, ’18, Dixie Blue, 2020.

Jonathan Wilson – Eat the Worm: e adesso, mangiatevi il verme

Il mescal è un liquore distillato dalla parte centrale della pianta dell’agave. È prodotto principalmente nel Messico meridionale. Per aromatizzare viene posta, nel fondo della bottiglia, la larva d’un coleottero comunemente e impropriamente detto verme.

Il titolo Eat the Worm, appunto “mangiatevi il verme”, è una maniera ironica per sottintendere la necessità di entrare in contatto con le canzoni senza soffermarsi superficialmente alla loro bellezza immediata. In questo senso, si tratta d’un lavoro maturo, raffinato, capace di regalare suggestioni non soltanto musicali, ma letterarie e cinematografiche, ogni volta che lo si ascolta. In particolare, lo fa non soltanto attraverso l’immaginario ispirato, ma ricorrendo al disincanto. Al sorriso e al riso, sempre garbato, Wilson accompagna il senso agrodolce proprio della vita vissuta. Lo fa attraverso una voce pacata, ferma ma incisiva.

Un disco così, con un caleidoscopio di canzoni pop che saziano l’anima, può essere considerato quello in cui Wilson consolida una consapevolezza creativa che lo accredita tra gli artisti contemporanei del genere. Il tour promozionale è previsto in primavera.

Jonathan Wilson - Eat the Worm 
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Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

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