Recensione: Jonathan Wilson – Dixie BlurBella Union - 2020

In viaggio verso Nashville con Jonathan Wilson e Dixie Blur.

Torna Jonathan Wilson e il cantautore californiano (ma nato e cresciuto in North Carolina, e in questo disco si sente!), per questa sua quarta prova, Dixie Blur, abbandona del tutto le atmosfere psichedeliche stile Pink Floyd post Atom Heart Mother e si tuffa a capofitto nelle situazioni più classiche della musica popolare americana, dai tramonti infuocati della west coast alle feste da ballo del Tennessee.

Recensione: Jonathan Wilson – Dixie Blur
Bella Union – 2020

E quale, se non Nashville, poteva essere la méta di questo viaggio alle radici della musica a stelle e strisce dove il nostro si è trasferito armi e bagagli su suggerimento di Steve Earle? Come partner in crime di questa avventura, Wilson sceglie Pat Sansone, il talentuoso polistrumentista dei Wilco e dei relativi progetti paralleli (The Autumn Defense), un musicista che è una garanzia se la ricerca, come in questo caso, è verso la melodia perfetta e l’arrangiamento di classe.

Un disco quasi in presa diretta

Ed infatti la scelta appare essere particolarmente azzeccata ed il prodotto finale è un disco riuscito, elegante e suggestivo che, al netto di alcuni mezzi passi falsi forse inevitabili, ci regala un’opera godibilissima da cui emerge un’atmosfera rilassata e gioiosa. Desta stupore scoprire come, a dispetto di una cura sopraffina e certosina nella scelta dei suoni, degli arrangiamenti e degli strumenti, in realtà il disco sia stato registrato in meno di una settimana, quasi in presa diretta, al Sound Emporium Studio, aperto 50 anni fa dal vecchio e glorioso Cowboy Jack Clement e dal quale son passati un po’ tutti da Cash a Plant. A far compagnia alle chitarre di Wilson e alle tastiere (e, come al solito, alle migliaia di altri strumenti) di Sansone, troviamo un pugno di illustri musicisti di stanza a Music City: Mark O’Connor (violino), Kenny Vaughan (chitarra) Dennis Crouch (basso), Russ Pahl (pedal steel), Jim Hoke (armonica), Jon Radford (batteria) e Drew Erickson (tastiere).

Ballate sognanti e danze sfrenate

Il risultato è, come detto, un disco suonato alla perfezione, fresco e coinvolgente, con una meravigliosa cifra melodica. Si parte con un mezzo passo falso, la cover di Just For Love dei Quicksilver Messenger Service di Dino Valenti. Tanto l’originale era una suite trasognata e eterea, quanto questa è fin troppo ripulita e con un flauto troppo invadente.

 

Ci si riprende subito con 69 Corvette, pezzo suggestivo, da tramonto in campagna, chitarra, piano e una slide strappacuore. Atmosfere che si ritrovano in New Home, struggente e dolcissima. Si balla nel barnyard con il singolo So Alive, dove il violino di O’Connor è una meraviglia e scandisce una melodia che entra subito sottopelle, riportandoci dalle parti del Neil Young di Comes a Time. Il disco snocciola tutta una serie di episodi che passano dalla ballad trasognata (O’Girl, Pirate, Riding the Blinds, la conclusiva Korean Tea e, soprattutto una Fun for the Masses che non avrebbe sfigurato in un American Recordings di Johnny Cash), al country danzereccio e irresistibile (Heaven Making Love, El Camino Real), perfetto per una serata honky tonk quando la birra scorre che è un piacere ed i piedi non riescono a stare fermi.

Jonathan Wilson – Dixie Blur: canzoni che scaldano il cuore

Unico limite del disco alcuni episodi meno riusciti che allungano un po’ il brodo. La già citata cover di Just For Love, sfocata e pesante, il wall of sound di Enemies, pezzo che convince poco (che ci fa Phil Spector a Nashville?), una Platform, forse troppo scolastica. Ma questo è purtroppo un difetto tipico dei dischi prodotti nell’epoca del cd, dove rimanere entro i canonici 40 minuti (più o meno) del vinile, sembra essere un peccato mortale. A parte questo, Dixie Blur appare un disco omogeneo e ispirato. E Jonathan Wilson, pur ripescando atmosfere e sonorità classiche della musica tradizionale americana riesce comunque a fornire un prodotto fresco e attuale, con un pugno di canzoni che entrano lentamente nel cuore. E, cosa non da poco, riescono pure a scaldarlo in questi tempi bui.

Jonathan Wilson – Dixie Blur
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Classe 1965, bolzanino di nascita, vive a Firenze dal 1985; è convinto che la migliore occupazione per l’uomo sia comprare ed ascoltare dischi; ritiene che Rolling Stones, Frank Zappa, Steely Dan, Miles Davis, Charlie Mingus e Thelonious Monk siano comunque ragioni sufficienti per vivere.

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