Abba – Voyage

Un viaggio lungo quarant’anni arriva al capolinea con Abba – Voyage

Che qualcosa fosse rimasto in sospeso dopo la pubblicazione di The Visitors, ormai lontanissimo quattro lunghi decenni, era una sensazione condivisa da molti. D’altra parte, ufficialmente gli Abba non si erano mai sciolti, anche se ormai nessuno osava crederci più. Con quasi 400 milioni di copie vendute in tutto il mondo, gli svedesi Anni-Frid Lyngstad, Benny Andersson, Björn Ulvaeus e Agnetha Fältskog (dalle loro iniziali, appunto, il nome ABBA) sono stati il primo gruppo non anglofono (e finora l’unico) a piazzare ripetutamente singoli e album ai primi posti nelle charts di tutti i paesi, appunto, di lingua inglese (ma non solo), grazie a un seguito di appassionati che ha scavalcato i conflitti generazionali dimostrando, per citare una pellicola amatissima, cos’è il genio. I motivi di una pausa di riflessione durata quasi mezzo secolo non sono mai stati del tutto chiariti mediaticamente, anche se risultano chiarissimi a un occhio e a un orecchio attenti. Dopo la separazione (nella vita) delle due coppie, l’aria si era fatta pesante. “In studio non ci divertivamo più”, avrebbe sostenuto Benny; “Non eravamo più in grado di proporre canzoni a quei livelli”, la versione di Björn.

I mancati successi delle ultime registrazioni risalenti anch’esse al 1981, e cioè The Day Before You Came, Cassandra, Under Attack e You Owe Me One, avrebbero spinto i membri del gruppo a mettere la parola fine a una delle più belle alchimie del pop che il secolo breve ci abbia regalato. Sì, perché si è trattato, senza timor di smentita, di un sodalizio capace di plasmare melodie immortali, di quelli che, come una nota rivista di enigmistica, vantano innumerevoli tentativi di imitazione: lo dimostrano l’affetto e i followers senza soluzione di età, lo dimostrano i milioni di download dei primi tre singoli dell’ultimo album, acquistati, come si suol dire, “sulla carta”. Eppure… eppure ci sono voluti anni e malanni (musicali, s’intende) prima che i puristi si rendessero conto che “Abba” non era solo la fastidiosa “prima voce” delle enciclopedie del rock, pop o come si vogliano catalogare, una riabilitazione postuma che ricorda un po’ quella della commedia sexy all’italiana dopo il coming out di Quentin Tarantino.

The way old friends do

Ma il genio cos’è, in definitiva, se non un’altra intuizione che ha sorpreso né più né meno rispetto alla notizia del loro ritorno. Qualche giorno prima dell’uscita di Voyage (Polar – Universal), Björn e Benny hanno annunciato ufficialmente il definitivo scioglimento del gruppo: “Non ci saranno più nuove canzoni degli Abba”. Così come non ci sarà promozione dell’album da parte della metà femminile, un accordo maturato prima che iniziassero i lavori, le cui prime impressioni risalgono al 2016: una canzone, poi due… Certo, non mancherà la sorpresa del concertone tecnologicamente avanzato realizzato con gli avatar dei quattro, ma questa è un’altra storia. La sensazione è che alla fine tutti tenessero a incontrarsi di nuovo in studio, per riannodare le fila di un miracolo e delinearne in modo preciso i contorni. Ciò che era rimasto in sospeso, in quel cerchio che non si era ma chiuso, adesso ha trovato la perfetta quadratura. Che dire, poi, dei milioni di fans sparpagliati sul pianeta: un saluto in musica, il modo migliore per accomiatarsi. Come fanno, è vero, i vecchi amici.

Piccole, grandi cose

Già, c’è da parlare del disco, quasi me ne dimenticavo. La prima impressione, ascoltando i dieci brani con i lucciconi agli occhi, è che si tratta di un disco degli Abba. E di chi sennò, direte voi. No, il fatto è che Voyage potrebbe essere stato registrato uno o due anni dopo The Visitors e nessuno se ne sarebbe accorto. È un disco degli Abba perché nelle canzoni ci sono proprio loro, come se il tempo (tutto questo tempo) non fosse mai passato. Ci sono le armonie vocali (da brividi, vi confesso) di Anni-Frid (Frida, per gli amici) e Agnetha, ci sono le melodie cristalline dei geniali maschietti, che, se fossero nati qualche secolo prima, sarebbero stati compositori classici, straordinari compositori classici. Esagerato? Non ci credete? Bene, ascoltatevi Piano, il disco solista di Benny Anderson uscito nel 2018: mi darete ragione. Trasformare in oro tutto quel che si tocca non è appannaggio dei comuni mortali. Nelle canzoni sembra che i quattro si parlino, quasi a pronunciare “le parole che non ti ho detto”. Ci sono ricordi (When You Danced With Me), ci sono dialoghi immaginari con il pubblico, atmosfere familiari (Little Things, Keep an Eye on Dan), la gioia e il dolore della condivisione (I Can Be That Woman), un sentito (e bellissimo) omaggio alla natura bistrattata, poetico e decisamente non banale (Bumblebee).

 

I due singoli che hanno anticipato l’album (I Still Have Faith In You e Don’t Shut Me Down) sembrano usciti da Super Trouper, mentre Just A Notion potrebbe essere un outtake di Voulez-Vous, e infatti lo è. La canzone era stata “scartata” perché non convinceva: bene, dunque, che sia stata recuperata, a rammendare la cesura tra il prima e il dopo, tra ieri e oggi.

Abba – Voyage: il giudizio

Nelle nuove canzoni, infatti, non c’è concessione alla “modernità”: il sound non muta di una virgola il marchio di fabbrica Andersson-Ulvaeus, denominazione di origine controllata e garantita. La fine di una storia del genere merita un doveroso applauso, unito alla convinzione che, dentro il cuore di chi li ha amati, il viaggio non finirà mai. Come non finirebbe mai questa mia recensione, se non mi imponessi di bloccare la tastiera. Voyage non è un capolavoro, ma è un piacere ascoltarlo. E in un certo senso dispiace che non possa rappresentare il primo tassello di un nuovo inizio. Quel che mi sento di dire, cari Anni-Frid, Benny, Björn e Agnetha, è semplicemente questo: Thank you for the music!

Abba – Voyage
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Vive a lavora a Viareggio, dove gestisce una piccola casa editrice: https://edizionilavela.it/. Ha collaborato per diversi anni con la rivista Buscadero e ha diretto la collana musicale Fanclub per Pacini editore.

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