The War On Drugs, I Don’t Live Here Anymore e la salvezza del rock

Quasi tutti sono contenti, anzi molto contenti, di I Don’t Live Here Anymore (Atlantic) dei ritornati dopo lunga assenza The War on Drugs. A cadenza quasi olimpica uno dall’altro, i loro due precedenti album avevano vinto la medaglia d’oro nella categoria salvatori del rock. È stato così per Lost in the Dream (2014) e per A Deeper Understanding (2017) e ora anche il disco del 2021 punta al gradino più alto del podio.

La tradizione in cui si inseriscono The War On Drugs

Il gruppo di Filadelfia si fa apprezzare perché di sicuro nel rock ci crede e perché la celebrità se l’è conquistata con molta gavetta (incluso il gavettone di livore che riservò loro Sun Kil Moon in War on Drugs: Suck My Cock) e poca-cura-ma-con-cura  nell’abbigliamento, proprio come il genere richiede. Questo secondo una linea di tendenza che da John Fogerty porta al primo Springsteen e poi al grunge per arrivare, appunto, ad Adam Granduciel che dei TWOD è uomo-immagine. Eppure anche stavolta, come negli altrettanto acclamati dischi del passato recente, qualcosa manca. O,  forse, c’è qualcosa di troppo. E questo nonostante qualche mano di vernice produttiva in meno e alcuni momenti indiscutibilmente belli.

I Don’t Live Here Anymore nel bene e nel male

In realtà l’iniziale Living Proof fa molto ben sperare: sommessa, intensa, triste-speranzosa (“Cambio continuamente/ L’amore trabocca”) e sobria negli arrangiamenti. Potrebbe segnare un cambio di situazioni rispetto al passato, ma ecco che Harmonia’s Dream ritorna alla classica e un po’ retorica addizione Bruce Springsteen + FM anni ’80 + synth vintage. Un’addizione il cui risultato a volte sembra essere Bon Jovi. Non che questa sia automaticamente una cattiva cosa. Il problema è che nei momenti più roboanti – di certo destinati al ruolo di nuovi cavalli di battaglia live – manca una vera elaborazione degli elementi di cui si è detto che vengono semplicemente accostati l’uno all’altro.

I sentimenti sono autentici, questo è innegabile, ma sono anche banali. Lo dicono le chitarrone retoriche della springjovista title-track, l’esistenzialismo con armonica di Old Skin, lo struggimento by numbers del lentone Rings Around My Father’s. Anche i testi non vanno oltre il ritratto dell’uomo alle prese con un mondo sempre difficile. Per contro ci sono cose alcune piacevoli che sono soprattutto quelle sottotraccia tipo Change, I Don’t Wanna Wait. Ancora migliore la conclusiva Occasional Rain che chiude il disco nel modo intenso e senza esagerazioni con cui era iniziato.

Difficile dire se I Don’t Live Here Anymore farà vincere a The War On Drugs anche le olimpiadi rock di quest’anno. Forse sì, ma ci sono degli italiani con tutine aderenti e trasgressive che si stanno pericolosamente avvicinando.

The War on Drugs - I Don't Live Here Anymore
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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