Da un pianoforte di seconda mano nasce l’ottavo disco di Beth Orton, Weather Alive.
Beth Orton ha approntato l’album Weather Alive nella sua casa di Londra. Un’ormai consueta situazione lockdown/post-lockdown con un paio di particolarità: le canzoni sono state scritte su un pianoforte verticale comprato di seconda mano al mercato di Camden Town e suonato nei momenti in cui i figli della musicista erano a scuola. Non esattamente una modalità da rockstar. Eppure, a fine anni ’90 Orton fu personaggio di gran tendenza, creatrice di un interessante ibrido chiamato folktronica e protagonista di collaborazioni con personaggi all’epoca di notevole richiamo tipo William Orbit e Chemical Brothers.
A due album di notevole successo quali Trailer Park (1996) e Central Reservation (1999) sono seguiti titoli in cui la formula iniziale ha subito piccole variazioni, sempre interessanti per quanto mai entusiasmanti. Insomma, un lento calo d’attrattiva, nonostante il sostanzioso ritorno in scena dell’elettronica in Kidsticks (2016).
Come funziona Weather Alive
Ora Weather Alive (Partisan) sembra compiere, senza troppi clamori, un piccolo miracolo: a detta di molti il settimo album di Beth Orton è il migliore della sua discografia. Lo compongono otto titoli dei quali solo Friday Night può essere considerato una vera e propria canzone. Gli altri nascono e ruotano intorno a semplici frasi musicali suonate su quel piano da mercatino, contrappuntate e/o corroborate da vibrafono, sassofono, tocchi elettronici, un pulsare ritmico incisivo senza farsi troppo notare ed evocativi cori maschili. Se qualche passaggio risulta vagamente statico, quasi sempre (e in particolare nel gospel-mantra Lonely) si viene felicemente coinvolti in un flusso musicale dai modi contenuti eppure coinvolgenti su cui Orton racconta con voce partecipe e appena roca le sue criptiche storie.
Paragoni impegnativi per Beth Orton
Qualcuno ha evocato paragoni con il più nerboruto e nervoso Astral Weeks di Van Morrison. In realtà fratelli spirituali più plausibili e sommessi potrebbero essere Hats dei Blue Nile o New York Tendaberry di Laura Nyro. L’effetto d’insieme è malinconico, ma anche rassicurante e quel che si ricava dai flussi di coscienza delle parole è una serenità in grado di emergere dalle difficoltà incontrate nel corso della vita (amori falliti, la perdita dei genitori durante l’adolescenza) e sostenuta da un rapporto felicemente dialettico con il mondo circostante: “In the morning/All is dawning/In the stillness of the day/Mist is rising, jewels aligning/And the shadows fall away.
Sì, Weather Alive è il miglior disco di Beth Orton. Con tanti complimenti al vecchio piano e ai ragazzi tornati in presenza a scuola.
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