A sorpresa il “disco d’oro” di Bill Callahan.
Un nuovo disco di Bill Callahan, a poco più di un anno dal precedente, è davvero una bella sorpresa. Gold Record nasce in un momento piuttosto positivo per il cantautore americano e si sente. Dopo la quindicina di dischi arditi come Smog, quelli a suo nome sono stati un compendio di visioni tetre, sferzate ironiche, ma anche momenti di furia e introspezione. L’abisso tra Apocalypse e Dream River si riempiva finalmente, dopo sei lunghi anni, con il quieto rimuginare di Shepherd In A Sheepskin Vest, un disco in parte ancora da esplorare.
Gold Record e i piaceri del focolare domestico
Callahan, da buon artigiano, non ha lasciato raffreddare il ferro, sfruttando alcune importanti complicità: una casa confortevole, la stanzetta-studio, e una compagna, la regista Hanly Banks, che lo asseconda in qualche mania, appiattendo pure qualche asperità. Ecco quindi dieci canzoni dieci, asciutte come un pomeriggio estivo. In mezzo a queste ci sono (almeno) due capolavori. Il primo apre l’album e si intitola Pigeons; comincia con “Hello, I’m Johnny Cash” e finisce con “Sincerely, L. Cohen”, in un omaggio bifronte ai due grandissimi colleghi. Come già in The Sing, da Dream River, dove Callahan impersonava un cantore di serenate a richiesta, qui il Nostro si immagina autista di matrimoni, uno che parla molto e dispensa consigli non richiesti. Ecco la sua bizzarra visione del matrimonio: “Quando sei fidanzato sei tutt’uno con lei e al diavolo il resto, quando ti sposi, sposi tutto il mondo, i ricchi e i poveri, i normali e i gay…”
Callahan come Carver?
L’altro brano-chiave di Gold Record si avvicina alla scrittura di Raymond Carver, ed è frutto, probabilmente, di un’esperienza diretta. Il titolo è The Mackenzies e si riassume così: al narratore si guasta la macchina a pochi metri da casa, e mentre si arrabatta, cercando di farla ripartire, viene fatto desistere da un anziano vicino (“an older man” dice Callahan, con un tocco fine fine). Da lì nascono un invito a pranzo e una conoscenza inaspettata e profonda, che terminano con un pisolino prolungato, nella cameretta intatta di un figlio scomparso. Basterebbero questi due brani a farne uno degli album dell’anno, ma ci sono altri momenti interessanti, fra cui un remake di Let’s Move To The Country e un episodio non memorabile intitolato Ry Cooder…
Un ottimo disco improvviso, intimo ed acustico, valorizzato da una strumentazione semplice, con alcuni tocchi geniali dei fiati.
Bill Callahan - Gold Record
8.5
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